La chiesa fu fondata nel 1531 da padre Filippo Scamacca, mentre il monastero di san Francesco di Paola, attiguo alla chiesa, fu costruito qualche decennio più tardi, fra il 1563 e il 1567. Nel 1699 venne demolito e ampliato con la costruzione di un nuovo edificio nella prima metà del secolo XVIII sotto la direzione dell'architetto trapanese Giovanni Biagio Amico[1][2] nel 1724, con l'inserimento di alcuni giardini. Nel 1968 fu restaurato a causa del terremoto del Belice.
Il monastero fu soppresso nel 1866, riaperto e interamente ristrutturato nei decenni successivi.
Descrizione
La chiesa, a navata unica e con la volta a botte e semplici pilastri, ha quattro altari laterali poco incassati ed è abbellita da una sobria decorazione in stucco.[2]
Monastero di san Francesco di Paola
Nel 1567 suor Margherita De Montesa, assieme a quattro consorelle, si trasferì qui dal monastero del Santissimo Salvatore e diventò la prima badessa. A seguito delle leggi del 1866, il monastero dovette lasciare l'ala occidentale prima a una scuola tecnica, poi ad una scuola di avviamento professionale e quindi ad una scuola elementare.[3]Oggi[da quando?] questi locali sono utilizzati da alcune associazioni.
Le suore, fedeli al carisma "ora et labora", vivono il loro impegno nella preghiera e nel lavoro: durante il giorno si dedicano ai lavori nell'orto e nelle "officine del monastero",[4] tra cui:
taglio e cucito
lavori a maglia
ricamo
restauro di oggetti sacri
preparazione dei rinomati dolci canditi con la zuccata e fichi in occasione delle feste
realizzazione di piccole ghirlande con petali in amido smaltati[5]
produzione del vino dai propri vigneti.
Molto tempo fa le monache assistevano alla Messa da dietro le grate poste in alto, ora tutte le mattine sono in chiesa per assistere alla santa Messa.
Le suore sono inoltre impegnate nella liturgia delle ore, dell'opus Dei e della Lectio Divina, a cui i fedeli possono partecipare su richiesta.[6]
Opere
All'interno sono conservate alcune tele e statue settecentesche:
nella cappella del Crocifisso (nel secondo altare a sinistra): un crocifisso ligneo che è stato attribuito a fra Benedetto Valenza da Trapani 1700, ai piedi di esso troviamo due statue di Giacomo Serpotta: l‘Addolorata e San Giovanni.
All’interno della chiesa sono presenti otto statue allegoriche realizzate in stucco nel 1724 da Giacomo Serpotta, nell'ultimo periodo della sua attività. Sei delle sculture sono posizionate lungo le pareti, poggiate su basamenti sporgenti a mezza altezza, mentre le altre due (l'Addolorata e la Maddalena) abbelliscono la cappella del Crocifisso e sono poste ai lati della croce.[8]
Le statue del Serpotta nella chiesa sono:
La Pace: rappresentata da un uomo avvolto in un vestito drappeggiato che si appoggia ad un bastone con la mano destra, mentre con la sinistra tiene un ramo di ulivo, simbolo di pace.
La Fortezza: raffigurata da una donna con corazza, elmo e lancia e uno scudo tenuto dalla mano sinistra.
La Mansuetudine: con un vestito ricco e il diadema sul capo, con la mano destra tiene un agnello, simbolo dell'innocenza.
La Purità: raffigurata da una donna con un vestito riccamente drappeggiato e con sulla mano destra una colomba, simbolo del candore.
San Pietro: raffigurato con la Sacra Bibbia e le chiavi nella mano sinistra; la destra in alto indica il cielo.
San Paolo: rappresentato con la spada nella mano destra e la Sacra Bibbia nella mano sinistra. Nel significato della simbologia, la spada indica che per San Paolo la parola di Dio è viva, efficace e affilata più di qualunque arma da taglio.
La Maddalena (nella cappella del Crocifisso, secondo altare a sinistra): avvolta in un ampio mantello; la sua mano destra è sollevata verso l’occhio destro nel gesto di asciugarsi le lacrime.
L’Addolorata: con un mantello, del quale stringe un lembo con la mano destra; ha la mano sinistra stretta al petto, il capo leggermente chinato, gli occhi in lacrime e la bocca singhiozzante.
La Fortezza
La Mansuetudine
La Pace
La Purezza
San Paolo
San Pietro
Questi stucchi presentano integra la patina che in molti altri è scomparsa, cioè quella "allustratura" che li fa sogmigliare ad alabastri.[9]
L’architetto Ernesto Basile disse in proposito: “Giacomo Serpotta si elevò al di sopra della comune comprensione estetica del tempo, e con la spontanea, sicura, sapiente interpretazione della natura trasfuse in tutte le sue creazioni un che di profondamente umano; pertanto esse saranno ognora comprese, e il nome dell’artista vivrà nel tempo. Ecco perché fu definito il re dello stucco”.[9]
Chiara Giacobelli, 1001 monasteri e santuari in Italia da visitare almeno una volta nella vita, Roma, Newton Compton editori, 2012, ISBN978-88-541-5227-4.
Giuseppina Favara, Eliana Manno, Giacomo Serpotta e la sua scuola in: itinerari dei beni culturali, Palermo, Grafill, 2009, ISBN978-88-8207-321-3.
Matteo Collura, Sicilia sconosciuta, 365 pagine, Milano, Rizzoli, 2008.
Luigi Milanesi, Dizionario Etimologico della Lingua Siciliana 1820 pagine, Mnamon, 17 ott 2015.
Maurizio Bambina, Alcamo, tra arte e cultura, Alcamo, Lions Club.
Agostino Gallo, Elogio storico di Antonio Gagini, scultore ed architetto palermitano, Palermo, Reale stamperia, 1821.
Carlo Cataldo, Guida storico-artistica dei Beni Culturali di Alcamo-Calatafimi-Castellammare del Golfo-Salemi-Vita, Alcamo, Sarograf, 1982.
Carlo Cataldo, La conchiglia di S.Giacomo p.226, Alcamo, Campo, 2001.