Figlio di Fortunato Pio Castellani e Carolina Baccani, perse da ragazzo la mano sinistra in un incidente di caccia; nonostante la menomazione si dedicò ugualmente all'arte dell'orafo nell'impresa di famiglia, limitandosi dapprima alla preparazione dei disegni.
Seguace di Mazzini, appoggiò la Repubblica Romana e nel 1849 fu membro della commissione per la scelta degli impiegati dello Stato; con la restaurazione e il ritorno di Pio IX, il 16 luglio 1849 Alessandro fu arrestato una prima volta, assieme al fratello Augusto, e liberato pochi giorni dopo probabilmente grazie all'intervento del padre. Venne arrestato nuovamente nell'agosto 1853 assieme ad altri mazziniani, quali Giuseppe Petroni e Cesare Mazzoni, e incarcerato a San Michele a Ripa Grande. Nel gennaio 1854 cominciò a manifestare segni di malattia mentale, non si sa se reali o simulati, e venne pertanto trasferito al manicomio di Santa Maria della Pietà, dove rimase fino al 1856, quando ottenne l'affidamento ai familiari. Condannato all'esilio nel 1859, si recò a Parigi (giugno 1860).
Nella capitale francese aprì una succursale della ditta paterna agli Champs Elysées e diede inizio alla diffusione dei gioielli Castellani in Europa e poi negli Stati Uniti. Alessandro fu in rapporti di amicizia con Gioachino Rossini, il quale lo introdusse nella società brillante dei Parigi. Nel luglio 1862 Alessandro vendette a Parigi gioielli per 25 000 scudi, una cifra equivalente al fatturato (30 000 scudi) della casa madre di Roma[1]. Ebbe contatti diretti con lo stesso imperatore Napoleone III il quale comprò anche numerosi reperti per il Musée Napoléon III, trasferiti poi al Louvre. Vendette altri reperti al British Museum diretto da Charles Thomas Newton. Si interessò alle tecniche orafe degli etruschi e in particolare alla "granulazione"[2]. È stato ipotizzato che alcuni reperti etruschi commerciati da Castellani fossero falsi; la risposta è difficile, in quanto ancora alla fine del XIX secolo il restauro delle opere d'arte veniva fatto senza troppi scrupoli filologici assemblando insieme pezzi antichi e nuovi[3]. Analisi chimiche recenti su alcuni reperti antiquari venduti dai Castellani al museo di Berlino hanno permesso tuttavia di concludere che Alessandro Castellani abbia venduto talora anche dei reperti falsi[4].
Nel 1862 Alessandro lasciò Parigi a causa di un legame con Henriette Verdot Charlon, una donna sposata che più tardi diverrà la sua seconda moglie, e si trasferì a Napoli dove aprì una nuova sede a Chiatamone. Nella città campana, oltre all'attività antiquaria e orafa (quest'ultima diretta da Giacinto Melillo) Alessandro si occupò anche di arte ceramica, chiamando il miniaturista di porcellane Carlo De Simone che divenne anche maestro del fratello Guglielmo e del figlio Torquato[5]. Con il ritorno in Italia, Alessandro riprese l'attività politica nelle file dei democratici, finanziando diversi tentativi insurrezionali nello Stato Pontificio; dopo Porta Pia costituì una "Commissione per la tutela dei monumenti a Roma", che propugnava il passaggio dei Musei Vaticani allo Stato italiano. Nel 1879 entrò a far parte della "Lega della democrazia", presieduta da Garibaldi.
Dopo la morte a Portici, la salma fu traslata a Roma con un corteo "puramente civile" e, dopo la cremazione, le ceneri furono tumulate al Verano[6].
^Cinzia Capalbo, L'economia del lusso a Roma fra Otto e Novecento. Le oreficerie Castellani (1814-1914), (pdf)
^Jack Ogden, «La riscoperta dell'arte perduta: Alessandro Castellani e la ricerca della precisione classica». In: Ministero per i Beni e le Attività culturali, Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, I Castellani e l'oreficeria archeologica italiana : New York, the bard graduate center for studies in the decorative arts, 18 novembre 2004-6 febbraio 2005; Londra, Somerset house, 5 maggio-18 settembre 2005; Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, 11 novembre 2005-26 febbraio 2006, Roma: "L'Erma" di Bretschneider, 2005, ISBN 88-8265-354-4, pp. 159-172 (Google libri)
^Elizabeth Simpson, "Una perfetta imitazione del lavoro antico", Gioielleria antica e adattamenti Castellani. In: I Castellani e l'oreficeria archeologica italiana, Op. cit, pp. 177-200 (Google libri)
^Edilberto Formigli, Wolf-Dieter Heilmeyer, «Einige Faelschungen antiken Goldschmucks im 19. Jahrhundert», Archaeologischer Anzeiger 1993, pp. 299-332
^Luigi Mosca, Napoli e l'arte ceramica dal XIII al XX secolo: la riforma dei musei artistici-industriali, Napoli: R. Picciardi, 1908, p. 116