«Affinché possano cantare con voci libere le meraviglie delle tue gesta i servi Tuoi, cancella il peccato dal loro labbro impuro, o San Giovanni»
(Inno a San Giovanni)
A ciascuna sillaba qui evidenziata corrisponde infatti, nella musica dell'inno, la relativa nota con cui è cantata. Da tale criterio convenzionale derivarono i nomi delle note musicali Ut-Re-Mi-Fa-Sol-La, con Ut che, successivamente, venne sostituito da Do, sillaba che, terminando con una vocale, si pronuncia in modo più agevole nel solfeggio. L'artefice della sostituzione fu per lungo tempo erroneamente identificato in Giovanni Battista Doni, il quale nel XVII secolo avrebbe a questo scopo impiegato la prima sillaba del proprio cognome; in realtà l'uso della sillaba Do è attestato già nel 1536 (dunque molto prima della nascita di Doni) in un testo di Pietro Aretino, ed è presa dal latino "Dominus".
Il nome della nota Si non si deve a Guido D'Arezzo, ma fu aggiunto solo nel 1482 da Bartolomé Ramos de Pareja; il canto gregoriano, e la musica medievale in genere, non prevedevano infatti l'uso della sensibile, cioè del settimo grado della scala. Non stupisce pertanto, nella musica dell'inno in questione, che la nota iniziale del settimo e ultimo verso della strofa non prosegua l'andamento diatonico ascendente delle sillabe iniziali dei 6 versi precedenti (infatti non è un Si, secondo la notazione moderna, ma un Sol). Il nome della settima nota della scala diatonica fu tratto dalle iniziali delle due parole che compongono detto verso: (Sancte Iohannes = Si).
L'inno nella versione originale prosegue così:
«
Nuntius celso veniens Olympo te patri magnum fore nasciturum, nomen et vitae seriem gerendae ordine promit.
Ille promissi dubius superni perdidit promptae modulos loquelae; sed reformasti genitus peremptae organa vocis.
Caeteri tantum cecinere vatum corde praesago iubar adfuturum; tu quidem mundi scelus auferentem indice prodis.
Non fuit vasti spatium per orbis sanctior quisquam genitus Iohanne, qui nefas saecli meruit lavantem tingere limphis.
O nimis felix meritique celsi nesciens labem nivei pudoris, prepotens martyr heremique cultor, maxime vatum!
Serta ter denis alios coronant aucta crementis, duplicata quosdam; trina centeno cumulata fructu te, sacer, ornant.
Nunc potens nostri meritis opimis pectoris duros lapides repelle asperum planans iter, et reflexos dirige calles,
ut pius mundi sator et redemptor mentibus pulsa luvione puris rite dignetur veniens sacratos ponere gressus.
Laudibus cives celebrant superni te, deus simplex pariterque trine, supplices ac nos veniam precamur: parce redemptis!
»
Nell'uso liturgico l'inno viene diviso in più parti per essere cantato in diversi momenti: così la sezione che inizia ad "Antra deserti teneris sub annis" è propria del Mattutino mentre quella che ha per primo verso "O nimis felix meritique celsi" viene cantata durante le Lodi.
In tempi recenti il primo verso della seconda strofa è stato cambiato in "Nuntius caelo veniens supremo" per eliminare la menzione troppo paganeggiante all'Olimpo.