Tancredi è un'opera lirica musicata da Gioachino Rossini su libretto in due atti di Gaetano Rossi tratto dalla tragedia omonima di Voltaire (1760).La prima ebbe luogo con successo il 6 febbraio 1813 al Teatro la Fenice di Venezia con Adelaide Malanotte ed Elisabetta Manfredini (anche se con il problema dell'indisposizione sia della Melanotte che interpretava Tancredi, sia della Manfredini che era Amenaide: così la recita si interruppe a metà dell'atto II e l'opera completa si ascoltò ancora con successo solo l'11 febbraio).
Tancredi venne composto alla villa Pliniana sul lago di Como,[2] e come altre opere rossiniane occupò il musicista per un tempo brevissimo (tre mesi e mezzo o addirittura tre giorni secondo la tradizione).Una nuova versione, con finale tragico anziché lieto, andò in scena al Teatro comunale di Ferrara il 21 marzo 1813 con Marco Bordogni. I versi del nuovo finale furono scritti dal conte Luigi Lechi. Per l'occasione Rossini apportò alcuni cambiamenti al piano originario dell'opera, spostando, sopprimendo o sostituendo alcuni Numeri, ma il pubblico non gradì il nuovo finale.
Infine, il 18 dicembre dello stesso anno, l'opera fu rappresentata per l'inaugurazione del Teatro Re di Milano, in una terza e definitiva versione, nella quale Rossini ripristinò il lieto fine e inserì tre nuovi pezzi. In questa forma l'opera divenne per un certo periodo una delle più popolari, rappresentata in tutti i teatri d'Italia. Stendhal la considerava l'opera migliore di Rossini.
Verso la metà dell'Ottocento, con l'affermarsi di un nuovo gusto, Tancredi scomparve quasi completamente dalle scene. Sopravvisse solo la cabaletta "Di tanti palpiti", anche nella forma della parafrasi o della variazione strumentale.
A partire da una storica ripresa al Maggio Musicale Fiorentino nel 1952, Tancredi è gradualmente tornata ad affacciarsi sui più prestigiosi palcoscenici operistici e oggi è considerata tra i lavori più ispirati ed equilibrati del Rossini serio.
Il manoscritto è conservato presso il Museo teatrale alla Scala di Milano.
Siamo a Siracusa, nel 1005, durante le lotte tra saraceni, bizantini e siciliani. La città mantiene la sua indipendenza, anche se è devastata dalle lotte intestine tra le famiglie di Argirio e Orbazzano. Il nobile Tancredi, amante della figlia di Argirio, Amenaide, viene esiliato perché ritenuto fedele a Bisanzio.
Argirio, per fare pace con l'antico nemico Orbazzano, gli promette in sposa la figlia Amenaide, che però ama ancora Tancredi, ed è oggetto delle mire di Solamir, il nemico saraceno; egli infatti l'ha chiesta in sposa, ma Argirio la offre ad Orbazzano. Amenaide intanto ha scritto una lettera a Tancredi per farlo tornare; una lettera mai giunta a destinazione. Tancredi ritorna, credendo Amenaide ancora fedele; lei tenta di opporsi alle nozze, incontrando l'ira del padre, e cerca di far partire l'amato, ma Orbazzano mostra a tutti la lettera di Amenaide, che si crede rivolta a Solamir. Amenaide non svela la verità per non tradire Tancredi e viene arrestata.
Argirio è combattuto tra ragion di stato e amore paterno, ma è costretto comunque a condannare la figlia. Allora si presenta un cavaliere sconosciuto (Tancredi) che difende Amenaide, e chiede un duello con Orbazzano per liberarla. Orbazzano viene sconfitto e ucciso, e così Amenaide è libera; ma Tancredi la crede ancora spergiura. Intanto i saraceni minacciano i siracusani, se Amenaide non sarà offerta sposa a Solamir, Siracusa verrà distrutta. Tancredi decide di combattere contro di loro per liberare la città, e le truppe infatti vincono. Argirio svela la verità a Tancredi, che torna da Amenaide, chiedendo scusa. L'opera si conclude col giubilo generale.
(Finale della versione di Ferrara: purtroppo, ferito in battaglia, Tancredi muore, ma spira, comunque, felice di sapere di essere amato sia da Amenaide che dalla sua città, grata per la vittoria).
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