«[...] Italia è una parte dell'Europa, & fu chiamata prima Hesperia da Hespero fratello d'Atlante, il quale cacciato dal fratello, diè il nome, & alla Spagna, & all'Italia: overo fu detta Hesperia (secondo Macrobio lib. I. cap. 2) dalla stella di Venere, che la sera è chiamata Hespero, per esser l'Italia sottoposta all'occaso di questa stella. [...]»
La simbologia che vede associare una stella all'Italia nacque nell'antica Grecia[3] e trasse origine dall'abbinamento di Venere, come stella della sera, con l'occidente[8] e quindi con la penisola italiana, una delle cui denominazioni era Esperia, ovvero "terra di Espero", l'astro della Sera consacrato a Venere[8][9]. Tale simbologia risulta già attestata nella letteratura greca arcaica:[3] nel VI secolo a.C., il poeta Stesicoro, nel poema Iliupersis (Caduta di Troia), nel creare la leggenda di Enea, descrisse il suo ritorno nella terra dei suoi antenati (l'Italia) dopo la disfatta di Troia, sotto la guida di Venere.
Il racconto del viaggio in mare di Enea guidato verso le coste italiane dalla materna stella di Venere è poi ripreso in epoca romana da Plinio il Vecchio, da Varrone e da Virgilio, dando origine a una doppia tradizione: quella politica del Caesaris Astrum, la stella di Giulio Cesare che ebbe origine dalla comparsa di una stella cometa poco dopo la sua morte e che venne richiamata anche da Augusto come segno benaugurante e come prefigurazione della pax romana[10], e la tradizione toponomastica e letteraria di origine greca dell'Italia chiamata Esperia, la "terra su cui tramonta la stella vespertina", cioè Venere. La fusione delle due tradizioni associò la stella all'Italia, centro dell'Impero romano e mai considerata una provincia, avendo uno status amministrativo speciale, essendo divisa nelle regioni augustee[10].
La prima rappresentazione dell'Italia, oggi andata perduta, era la Italia picta (Italia dipinta) presente nel tempio della Tellus a Roma, databile al 268 a.C. Su cosa essa fosse gli storici sono divisi: secondo alcuni era una mappa geografica della penisola, secondo altri una personificazione dell'Italia.[11][12][13][14]
Una rappresentazione dell'Italia come testa femminile incoronata d'alloro apparve su alcune monete coniate a Corfinium durante la Guerra Sociale che oppose, dal 91 all'88 a.C., Roma ad alcuni popoli della penisola italiana[15]. Una raffigurazione allegorica dell'Italia come Tellus, Cerere o Venere (l'identificazione non è chiara) fu forse scolpita in marmo su una parete esterna dell'Ara Pacis, eretta dal 13 al 9 a.C. a Roma da Augusto[16].
La rappresentazione dell'Italia turrita venne proposta per la prima volta[17] dall'imperatore Traiano, che la fece scolpire sull'Arco che porta il suo nome eretto a Benevento nel 114 d.C.[17] Durante il regno di Antonino Pio venne coniato un sesterzio rappresentante l'Italia come una donna turrita che siede su un globo e che tiene una cornucopia in una mano e il bastone del comando in quell'altra[18]. Questa diverrà poi l'immagine classica della personificazione allegorica dell'Italia[18]. A questa moneta seguirono analoghi conii degli imperatori Marco Aurelio, Commodo, Settimio Severo e Caracalla[17].
La corona turrita è il simbolo della Civitas romana; l'allegoria indica quindi la sovranità della penisola italiana come terra di città libere e di cittadini romani a cui venne concesso un diritto proprio: lo Ius Italicum[15][17]. L'origine della figura della donna turrita è legata a Cibele, divinità della fertilità di origine anatolica, che è caratterizzata dalla presenza, sul proprio capo, di una corona muraria[19]. La prima associazione tra la stella (la Stella Veneris) e la corona muraria (la Corona muralis) dell'Italia turrita, da cui la cosiddetta Italia turrita e stellata, è anch'essa di epoca romana e risale ai tempi di Augusto[10].
Dal Medioevo al Risorgimento
Dopo la scomparsa dovuta alla caduta dell'Impero romano d'Occidente e l'oblio del Medioevo, la Stella d'Italia fu riscoperta nel Rinascimento[20]. È infatti ancora incerta l'identificazione simbolica dell'astro di Cesare nel prezioso monile tricolore a forma di stella, tempestato di smeraldi verdi, perle bianche e rubini rossi, che è conservato al Museo di Castelvecchio di Verona e che risale al Trecento, quindi all'epoca medievale: sarebbe stato fabbricato per il condottiero Cangrande I della Scala, signore di Verona in cui Dante vedeva il nuovo Cesare capace di unificare l'Italia. Tuttavia è altresì probabile che la stella si riferisse a Sirio, sotto il cui benefico influsso sarebbe nato Cangrande, con i colori verde, bianco e rosso associati alle tre virtù teologali[21].
Il Caesaris Astrum comparve nel 1574 anche sulla copertina del libro Historiarum de Regno Italiae dello storico Carlo Sigonio[22]. La Stella d'Italia fu poi ripresa da Cesare Ripa nel 1603, nella seconda edizione del suo celebre trattato Iconologia, che la riassociò all'Italia turrita[20], creando la versione moderna della personificazione allegorica dell'Italia: una donna turrita e stellata, cioè provvista della Corona muralis e della Stella Veneris[8].
Per quanto riguarda l'aggiunta della Stella d'Italia, Cesare Ripa si ispirò al Dictionarium historicum ac poeticum, opera redatta da Charles Estienne nel 1567[8]. Sull'Iconologia di Cesare Ripa la presenza della Stella d'Italia è così motivata[1]:
«[...] Italia è una parte dell'Europa, & fu chiamata prima Hesperia da Hespero fratello d’Atlante, il quale cacciato dal fratello, diè il nome, & alla Spagna, & all'Italia: overo fu detta Hesperia (secondo Macrobio lib. I. cap. 2) dalla stella di Venere, che la sera è chiamata Hespero, per esser l'Italia sottoposta all'occaso di questa stella. Si chiamò etiandio Oenotria, ò dalla bontà del vino, che vi nasce, ò da Oenotrio, che fu Rè de' Sabini. Ultimamente fu detta Italia da Italo Re di Sicilia il quale insegnò agl'Italiani il modo di coltivare la terra, & vi diede anco le leggi, percioché egli venne a quella parte, dove poi regnò Turno, & la chiamò così dal suo nome, come afferma Vergilio nel lib. I dell'Eneide. Hora noi la chiamiamo Italia dal nome di colui che vi regnò: ma Timeo e Varrone vogliono, che sia detta così dai buoi, che in lingua greca anticamente si chiamavano Itali, per esservene quantità e belli. [...]»
Il trattato di Ripa ispirò poi numerosi artisti, quali Antonio Canova, Giuseppe Bernardino Bison, Cesare Maccari, Giacomo Balla, Mario Sironi, fino ai primi decenni del Novecento[22]. L'immagine allegorica dell'Italia turrita e stellata diventò popolare con il Risorgimento diffondendosi attraverso una vasta iconografia di statue pubbliche, fregi e oggetti decorativi, copertine di guide turistiche, cartoline postali, stampe e illustrazioni dei giornali[17].
Agli albori della storia risorgimentale, è degno di nota uno stralcio di un componimento poetico contenuto nell'opera Versi sciolti di tre eccellenti moderni autori cioe ab. Carlo Innocenzo Frugoni. Co. Francesco Algarotti. Ab. Saverio Bettinelli con alcune lettere all'Arcadia di Roma Carlo Innocenzo Frugoni, Francesco Algarotti, Saverio Bettinelli presso Vincenzo Rizzi, 1818 di Carlo Innocenzo Frugoni, Francesco Algarotti e Saverio Bettinelli[23]:
«[...] Le dotte carte dell'eccelso e saggio, Inclit'Orsi immortale, eterna e viva Stella d'Italia, mai non fia, che Senna L'onor di sua favella oscuri al tosco Purissim'Arno, e che la men feconda, E men di suono signoril ripiena Emola, e men soave; e meno a gli usi Abil de l'arti tutte, a lei sovrasti Non ben contenta dei secondi onori. [...]»
(Versi sciolti di tre eccellenti moderni autori cioe ab. Carlo Innocenzo Frugoni. Co. Francesco Algarotti. Ab. Saverio Bettinelli con alcune lettere all'Arcadia di Roma Carlo Innocenzo Frugoni, Francesco Algarotti, Saverio Bettinelli presso Vincenzo Rizzi, 1818)
Esiste una tradizione letteraria, poetica e artistica che ha tramandato attraverso i secoli il mito della Stella d'Italia e l'immagine della figura muliebre, turrita e stellata, come personificazione allegorica della terra italiana. In epoca risorgimentale, evocando il viaggio in mare di Enea verso le coste italiane, Giuseppe Mazzini alluse di nuovo al mito della stella nazionale che deve guidare il processo dell'unità politica dell'Italia rischiarandole la sorte[4].
Dall'unità d'Italia all'Italia repubblicana
L'idea del destino della penisola italiana illuminato dalla stella continuò a essere diffusa anche dopo l'unità d'Italia grazie a Cavour e Casa Savoia[4][17]. La casa regnante italiana cercò di legare a sé l'iconografia della Stella d'Italia suggerendo che si trattasse della stella sabauda, un motivo araldico della famiglia; di questo legame però non c'è traccia sui documenti storici antecedenti all'unità d'Italia[17]. La Stella d'Italia è presente anche nel logo della Società geografica italiana.
Dopo l'unità d'Italia, la presenza di enormi stelle simboliche sul palco d'onore delle cerimonie ufficiali a cui partecipava re Vittorio Emanuele II indusse sempre di più gli italiani a definirla, in modo affettivo, lo «stellone» che protegge l'Italia[3]. Sulla monetazione metallica italiana la Stella d'Italia è presente su tutte le emissioni in rame già dal 1861 e sino al 1907, nonché su tutti i conii di re Umberto I[24]. La Stella d'Italia è rievocata anche dallo stemma del Regno d'Italia utilizzato dal 1870 al 1890.
«[...] Tutte le persone soggette alla giurisdizione militare, a mente dell'articolo 323 del Codice penale militare per l'Esercito, e dell'art. 362 di quello per la Regia Marina, porteranno, come segno caratteristico della divisa militare, comune all'Esercito ed all'Armata[N 1], le stellette a cinque punte sul bavero dell'abito della rispettiva divisa [...]»
«[...] E tu ridevi, stella di Venere, stella d'Italia, stella di Cesare: non mai primavera più sacra d'animi italici illuminasti [...]»
(Giosuè Carducci, Scoglio di Quarto)
Un'ipotesi sostenuta dagli ambienti cattolici nella seconda parte del XIX secolo, dopo la presa di Roma e in aperta polemica con il neonato Regno d'Italia, voleva che l'origine della Stella d'Italia fosse legata alla massoneria e alla cabala ebraica, con particolare riferimento alla stella di David[7]. Secondo questa congettura la genesi della Stella d'Italia aveva un'accezione anti cristiana[7]:
«[...] Si conferma che la Stella d'Italia è un simbolo cabalistico e massonico – Trovasi, nondimeno, interpretata da taluno come simbolo cristiano. [...] Così Lucifero[N 2], perpetua scimmia di Dio, volle che i suoi massoncini [...] entrando in Roma con la stolida e vana intenzione di sconfiggervi il Cristianesimo v'inalberassero il loro Pentalfa ebreo sotto il nome di stella d'Italia [...]»
«[...] Sai dove s'annida più florido il suol ? Sai dove sorrida più magico il sol ? Sul mar che ci lega coll'Africa d'or,
La stella d'Italia ci addita un tesor. Tripoli, bel suol d'amore [...]»
(Tripoli bel suol d'amore)
La Stella d'Italia fu uno dei simboli del viaggio in treno sulla linea Aquileia-Roma verso la capitale d'Italia della salma del Milite Ignoto[28]. La bara venne collocata sull'affusto di un cannone e deposta su un carro funebre ferroviario progettato per l'occasione da Guido Cirilli[29]. La cerimonia ebbe il suo epilogo a Roma con la sepoltura solenne all'Altare della Patria il 4 novembre 1921 in occasione della Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate[29]. Una Stella d'Italia in bronzo era collocata su una delle due locomotive che trainava il carro funebre ferroviario, mentre una seconda era rappresentata sull'edificio principale della stazione di Roma Tiburtina, che accolse il convoglio nella destinazione finale e che all'epoca era conosciuta come "stazione di Portonaccio"[28].
Nel 1947 la Stella d'Italia è stata inserita al centro dell'emblema ufficiale della Repubblica Italiana, che è stato disegnato da Paolo Paschetto[5]. La presenza della stella sull'emblema non è casuale: il suo inserimento fu uno degli obblighi prescritti dal concorso nazionale istituito per la realizzazione dello stemma repubblicano[2]; secondo il bando, il futuro emblema della Repubblica avrebbe dovuto comprendere la Stella d'Italia perché essa è «ispirazione dal senso della terra e dei comuni»[2].
^Il nome "Lucifero", che significa "Portatore di luce", deriva dal latinolucifer (lux = luce, ferre = portare). In ambito pagano e astrologico "Lucifero" indica la "stella del mattino", ovvero il pianeta Venere, che è anche chiamato con questo nome perché visibile all'aurora.
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