A seguito del genocidio dei tutsi perpetrato nella primavera del 1994 in Ruanda si sta sviluppando una nuova cultura, che ricorda il modo in cui anche gli ebrei scoprirono il "dovere della memoria". Si sta cercando di sensibilizzare la popolazione sull'orrore dei crimini che sono stati commessi: tutti sanno, tutti hanno visto, molti hanno partecipato.
Sembra che la maggioranza silenziosa sia in qualche modo soggetta alle manifestazioni della memoria del genocidio, molto presenti e frequenti nella società ruandese. Le parole Tutsi, Hutu e Twa sono diventate tabù: si evita di usarle, anche nelle cerimonie commemorative. Nel dicembre 2004 furono sepolte 640 vittime riesumate da una fossa comune a Nyundo vicino a Gisenyi. Durante le quasi quattro ore delle cerimonie religiose cattoliche e dei discorsi politici, la parola tutsi è stata pronunciata una sola volta. La grande chiesa era piena soprattutto di questa maggioranza silenziosa i cui leader partecipano anche all'animazione delle celebrazioni. Si tratta in un certo senso, al di là dei sentimenti religiosi, di un passaggio politico obbligato, due aspetti che in Ruanda sono ancora molto mescolati.
Questo tipo di cerimonia si svolge quasi settimanalmente in tutto il Paese da dieci anni. Di conseguenza sono stati eretti molti memoriali. Alcuni sono più famosi di altri: fondamentali sono le chiese di Nyamata e Ntarama, la scuola di Murambi, il memoriale di Gisozi a Kigali e quello di Bisesero vicino a Kibuye.