Schola cantorum (architettura)

La Schola cantorum è, nelle antiche basiliche cristiane, lo spazio della navata centrale, antistante il presbiterio e l'altare, riservato ai cantori o salmisti[1] e delimitato da un recinto o balaustra di pianta rettangolare. A partire dalla fine del secolo XVI, in osservanza alle istanze di rinnovamento del gusto barocco e soprattutto alle nuove disposizioni liturgiche del Concilio di Trento, che diedero luogo a precise regolamentazioni per l'arte e l'architettura sacra, la maggior parte delle scholae cantorum è stata smantellata, al fine di liberare la navata centrale delle chiese da tutti gli elementi che ne complicavano la spazialità e ne limitavano l'ariosità, così da accentuare visivamente e strutturalmente il presbiterio come cuore liturgico dell'edificio.

Struttura

La schola cantorum della basilica di San Clemente (Roma)

La schola cantorum è collocata all'estremità della navata principale, davanti al santuario, venendo a costituire un ambiente separato, quasi un edificio nell'edificio, delimitato da un recinto e di solito sopraelevato di un gradino rispetto al piano della navata.

Negli esempi conservati, il recinto delle scholae cantorum è costituito di pilastrini o lastre di pietra o di marmo variamente decorati con bassorilievi, tarsìe, mosaici ecc., raffiguranti motivi liturgici o più semplici disegni geometrici; i singoli elementi, a seconda che siano massicci o traforati, sono detti plutei o transenne; più raramente potevano essere in legno o metallo. La continuità del recinto è interrotta da due varchi centrali, che consentono l'accesso all'interno: l'anteriore (la cosiddetta porta santa, che permette la visione dell'altare maggiore e comunica con il presbiterio) e il posteriore (per lo più chiuso da un cancelletto). Il recinto è realizzato ad altezza d’uomo per garantire la riservatezza e impedire possibili distrazioni dei coristi.

Sui due lati longitudinali del recinto sono a volte presenti due specie di balconi rialzati (sorta di pulpiti detti amboni), accessibili mediante brevi scale e utilizzati per la lettura dell'Epistola e del Vangelo.[2] All'interno del recinto sono ospitate le sedute per i cantori, costituite da sedili o panche di legno mobili, ovvero da sedute stabili, in pietra e addossate al lato interno della balaustra.[3]

In diverse basiliche romane si possono vedere esempi di scholae cantorum: a San Clemente al Laterano,[4] in Santa Sabina[5] e in Santa Maria in Cosmedin;[6] in Sabina, nella chiesa di Sant'Antimo a Nazzano.[7]

Resti di scholae cantorum, a volte limitati alle sole fondazioni, sono stati rinvenuti, per limitarci a Roma, fra i ruderi della basilica di Santo Stefano sulla via Latina, in quella di San Marco Evangelista, in San Sebastiano fuori le Mura, a San Saba,[8] nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo al Celio[9] e a Santa Petronilla; all'estero, nei ruderi della basilica paleocristiana del sito archeologico di Manastarine (Salona, Croazia). In alcuni casi si sono conservate, spesso parzialmente, solo le pavimentazioni originali del suppedaneo, quasi sempre in stile cosmatesco: ad esempio nella basilica di Sant'Elia (anche detta di Sant'Anastasio, a Castel Sant'Elia, presso Viterbo) o nell'abbazia di Sant'Andrea in Flumine (Ponzano Romano).[10]

Storia e funzione

La schola cantorum della basilica di Santa Maria in Cosmedin (Roma)

La schola cantorum delle chiese paleocristiane e altomedievali corrisponde, funzionalmente, al coro delle più recenti chiese cristiane occidentali, che è lo spazio absidale del presbiterio e il complesso delle sedute, dette stalli o scranni, ivi collocate e riservate a religiosi e coristi durante le funzioni liturgiche; e per questa ragione la schola cantorum è spesso anche definita basso coro. In effetti, sia dal punto di vista architettonico sia funzionale, mentre il coro è posizionato dietro all'altare, la struttura delle scholae cantorum prolunga il presbiterio, il cui accesso è riservato al clero, all'interno della navata e, a partire soprattutto dal XII secolo, accoglie gli amboni e altri elementi del mobilio presbiteriale, come il candelabro per il cero pasquale. È infatti originaria del cristianesimo la tradizione di isolare i coristi dalla navata mediante divisioni di varie tipologie,[11] corrispondenti strutturalmente agli usi liturgici dell’epoca e al rapporto tra il clero e i fedeli: la schola cantorum è appunto la soluzione più antica che corrisponde a questa necessità di isolamento dei coristi. L'esempio più antico di schola cantorum, del secolo V, è stato rinvenuto negli scavi della Basilica di San Marco Evangelista a Roma. È ipotizzabile che questa struttura si sia diffusa nel secolo VII a seguito del grande impulso dato da papa Gregorio Magno (540-604) alla messa con canti in latino, che ebbe un ruolo fondamentale per lo sviluppo del canto gregoriano.

Le scholae cantorum iniziarono a cadere in disuso dopo il secolo XIII, sostituiti da palchetti e successivamente da vere e proprie cantorie, in forma di pergamo o di balconata, poste nel transetto o in una cappella laterale. Insieme ad altri arredi fissi di epoca paleocristiana o medievale le scholae vengono quasi tutte eliminate a partire dalla seconda metà del XVI secolo. A seguito delle indicazioni del Concilio di Trento (1545-1563) le scholae, soprattutto in ragione del forte impedimento che creano per la visione del presbiterio, sono ritenute inadatte alle nuove necessità liturgiche imposte dalla Controriforma: pertanto, vengono rimosse le scholae cantorum e i tramezzi (tali strutture sono infatti oggi in gran parte scomparse dagli edifici religiosi); anche laddove rimangano presenti, i recinti di separazione tra coro e navata perdono importanza; il coro si sposta definitivamente dietro all'altare, nella configurazione che sostanzialmente resta invariata fino ad oggi.[12]

Etimologia e significati

La schola cantorum della basilica di Santa Sabina (Roma)

Grammaticalmente, schola cantorum è una locuzione latina, oggi utilizzata in architettura e storia dell'arte, che originariamente significa "luogo di riunione dei cantori"; in italiano è usata come sostantivo femminile (plurale: scholae cantorum; pronuncia: skòla/skòle cantòrum). Analogamente al latino chorus (dal greco χορός) e all’italiano coro, che significano "gruppo di cantori" e "luogo ove si canta", l'espressione, come detto sopra, ha assunto diversi significati: struttura architettonica riservata ai cantori, scuola di canto e complesso dei coristi di una chiesa.

Il termine schola ha avuto nel mondo romano molte più accezioni della originaria voce greca σχολή. Inizialmente designa sia l'attività sia il luogo dello studio (corrisponde quindi alla nostra parola scuola). Per estensione, passa a indicare ogni luogo di riunione, di riposo o di attesa (galleria, portico, sala d'aspetto, ecc.). Plinio il Vecchio chiama schola una grande sala ornata di statue e pitture celebri, presente a Roma nel Portico di Ottavia (Naturalis Historia, XXXV, 114). Negli accampamenti militari la schola era il recinto dove ci si recava a ricevere gli ordini di servizio. Scavi e rovine illustrano diverse forme costruttive e architettoniche delle scholae: di forma rettangolare, trapezoidale, circolare o di esedra; più o meno decorate e provviste di sedili; all’aria aperta o coperte; di uso pubblico o riservate a privati.

Per ulteriore estensione, dal significato di ambiente in cui avviene una riunione sociale o collegiale, si passa al significato di "compagnia", "collegio", "corporazione": per tutto il Medioevo la voce fu quindi analoga a collegium, societas, sodalitas, confratria (e si hanno quindi scholae chartulariorum, sacerdotum, lectorum, cantorum, peregrinorum, ecc.).

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Note

  1. ^ I salmisti intonavano la prima parte dei salmi, cui faceva seguito il canto dei fedeli.
  2. ^ La presenza originaria degli amboni è in realtà discussa. In effetti, nei resti della maggior parte delle basiliche antiche nelle quali sia possibile intravedere le fondamenta del recinto, non si rinvengono massi di fondazione che attestino l'esistenza degli amboni. I quali tuttavia, addossati ai plutei, sono presenti oggi, ad esempio, nelle scholae delle basiliche di S. Maria in Cosmedin, di Santa Sabina e di San Clemente, a Roma. Da questa circostanza si può dedurre che l'inserzione degli amboni sia avvenuta successivamente e che sia divenuta più frequente nel secolo XII. In alcuni casi è presente un solo ambone.
  3. ^ Nella basilica di San Clemente a Roma, ad esempio, i plutei scolpiti da entrambe le facce sembrano escludere la presenza di sedili in pietra addossati al recinto; che sono invece presenti nella schola cantorum di Santa Maria in Cosmedin, come ricostruita nel 1898. Anche la schola della basilica dei Santi Giovanni e Paolo, sempre a Roma, sarebbe stata provvista di banchi fissi, come testimonierebbe Pompeo Ugonio, che nel 1588 descrive l'impianto ancora medievale della chiesa e la schola successivamente demolita: "Più oltre si trova un spatio di marmo, chiuso, con sedili del medesimo attorno, che appoggiano alle colonne della chiesa. Questo spatio serviva per la scuola de Cantori, che diciamo hoggidì la Cappella." (Pompeo Ugonio, Historia delle Stationi di Roma che si celebrano la Quadragesima, Roma, appresso Bartolomeo Bonfadino, 1588, p. 29). La descrizione dell'Ugonio tuttavia non è affatto chiara: sembra infatti di poter intendere piuttosto che i sedili di marmo fossero collocati attorno (cioè esternamente) al recinto, tanto che (egli dice) "appoggiano alle colonne della chiesa".
  4. ^ L'attuale schola di San Clemente fu eretta nel secolo XII, nell'ambito delle opere di ricostruzione promosse da papa Pasquale II nel 1108, sulle macerie della basilica inferiore (secoli IV-XI) devastata dai normanni di Roberto il Guiscardo. Furono reimpiegati la schola cantorum e l'altare dell'antica basilica, che erano stati donati da papa Giovanni II (533-535; su diverse transenne del recinto dell'attuale schola è infatti presente il monogramma di Johannes). La nuova schola, tuttavia, non riebbe le stesse dimensioni della precedente, perché lo spazio disponibile nella nuova navata era minore che nella navata sottostante. Al centro della struttura odierna, i due amboni e il candelabro tortile per cero il pasquale (seconda metà del secolo XIII), in marmo e mosaico, di fattura cosmatesca, come tutto il pavimento della schola e dell'intera navata. L'Ugonio, nel 1588 (op. cit., pp. 123-124), così descrive la schola di San Clemente: "le tavole di marmo, che serrano un certo spatio racchiuso nel mezzo della Chiesa, il qual spatio dicono, che serviva per la scola de Cantori, che hoggi chiamiamo Cappella. [...] Nel mezzo [nella navata] è quel spatio chiuso che habbiamo detto per uso della cappella, con i pulpiti di marmo fatti da Nicola primo". Singolare il dubbio dell'Ugonio sulla destinazione dello spazio descritto ("dicono, che serviva per la scola de Cantori"); inoltre, egli intende erroneamente il monogramma come sigillo di papa Nicola I, che avrebbe restaurato la basilica inferiore nell'860 ("Queste lettere di questa maniera intrecciate insieme dicono NIKOLAUS, et si veggono scolpite per le tavole di marmo").
  5. ^ La schola cantorum di Santa Sabina, assieme agli amboni, all'iconostasi e al ciborio, fu eretta da papa Eugenio II nell'824. La schola attuale è in realtà una ricostruzione effettuata nel 1936 (quando i restauri di Antonio Muñoz riportarono la basilica alla forma originaria), ispirandosi alla schola paleocristiana del secolo IX e riutilizzando alcuni resti dei pilastri e dei plutei antichi rinvenuti nel pavimento e nei muri, completati con riproduzioni a graffito. Le lastre marmoree laterali sono decorate con motivi vegetali, animali ed altri motivi della simbologia cosmogonica. All'interno del recinto è presente una lastra tombale ricomposta che costituiva il coperchio della cassa marmorea che racchiudeva le reliquie di Santa Sabina e di altri martiri (Serapia, Evenzio, Alessandro e Teodulo). La lastra fu spezzata dall'architetto Domenico Fontana nel 1527, durante il restauro della basilica e lo spostamento della sepoltura dei martiri: i frammenti, inizialmente gettati via, furono ricomposti al centro della schola. Una leggenda narra che la lastra sia stata spezzata dal diavolo, che avrebbe scagliato il Lapis Diaboli (ossia la pietra nera di forma rotonda visibile su una colonna tortile a sinistra della porta di ingresso) contro san Domenico che pregava (Claudio Rendina, La grande guida dei monumenti di Roma: storia, arte, segreti, leggende, curiosità, Roma, Newton & Compton, 2002, p. 248).
  6. ^ In buona parte ricostruita è anche la schola cantorum di Santa Maria in Cosmedin, originariamente del secolo XII, poi in parte smantellata e infine ricomposta durante i lavori di restauro della chiesa del 1896-1899, integrando gli elementi perduti con altri nuovi in stile. La schola fu probabilmente realizzata nell'ambito delle opere di rinnovamento della chiesa attuate durante il pontificato di papa Callisto II (1119-1124) da parte del suo camerlengo Alfano (forse a imitazione dell’analoga struttura della basilica di San Clemente al Laterano, risalente al 1118), provvista di una pergula, infine completata fra XIII e XIV secolo con la realizzazione del candelabro del cero pasquale (la colonnina tortile che sostiene il cero è stata donata nel 1716 da Giovanni Mario Crescimbeni). In occasione di vari interventi ottocenteschi, l'area della schola cantorum, già privata delle transenne di recinzione, fu accorciata; ma con il restauro degli anni 1896-1899 riacquistò le dimensioni originarie e fu dotata di transenne marmoree, opera di Paolo Bottoni. Su un pluteo è la seguente iscrizione commemorativa: INSTAVRATIS PLVTEIS AC SVBSELLIIS / MAGNAM PARTEM EXCISIS ET EVERSIS / VETUS SCHOLA CANTORVM / AD PRISTINVM DECVS REVOCATA EST / ANNO DOMINI MDCCCXCVIII (ossia: «Ricostruiti i plutei e i sedili, che erano stati in gran parte abbattuti e distrutti, nel 1898 l'antica schola cantorum fu riportata al decoro originario»). Ai lati della schola sono presenti due amboni: a sinistra quello per la lettura dell'Epistola, della tipologia a giardino, in marmo pavonazzetto con basamento in marmo greco; a destra quello per il Vangelo, della tipologia a loggia, prevalentemente in pavonazzetto con inserti in breccia dei Pirenei (al centro della parte anteriore) e porfido grigio (sul retro). Sull'ambone destro è collocato il candelabro del cero pasquale, la cui base è una scultura di leone accovacciato, attribuibile a Pasquale Romano. Il presbiterio è separato dalla schola cantorum tramite la pergula marmorea, il cui architrave, che si estende alle navate laterali, è sostenuto da colonnine poggianti su transenne decorate a mosaico. Il pavimento presenta una ricca decorazione in stile cosmatesco realizzata in marmi policromi e inserti musivi, con elementi in opus sectile dell'VIII secolo. Al di sotto della schola cantorum vi è la cripta dell'VIII secolo.
  7. ^ Nicola Severino: "abbastanza piccola rispetto alle grandi basiliche romane, ma rispetta in tutto l’architettura romanica del XII secolo: a tre navate ed abside semicircolare extra-perimetro, un presbiterio, un pavimento cosmatesco e una Schola cantorum con un ambone in marmo sulla sinistra". Si veda la scheda catalogo del Ministero dei Beni Culturali.
  8. ^ La basilica medievale di San Saba (secolo XII) era originariamente provvista di pavimento e schola cantorum di fattura cosmatesca; la schola fu successivamente demolita, poi ricostruita al centro della navata maggiore in occasione dei restauri del 1907. Di nuovo smantellata nel 1943, nell’ambito dei lavori di ristrutturazione e ricostruzione curati dell'architetto Andrea Busiri Vici, fu ricomposta in parte addossando alcuni elementi della parte frontale sulla parete della navata destra: due grandi due plutei marmorei e quattro colonnine tortili. I plutei, decorati con fasce musive, sono divisi in otto riquadri rettangolari: quattro di serpentino e quattro di porfido. È anche raffigurato un viso con pupille fatte con pietre nere. Sull'architrave si legge l'iscrizione: Magister Bassalectus me fecit qui sit benedictus. L’artefice è quasi certamente Pietro Vassalletto, maggiore esponente della omonima dinastia dei marmorani romani, attivo nella prima metà del secolo XIII (cfr. M. E. Cannizzaro, I. C. Govini, Sulla ricostruzione della Schola Cantorum di S. Saba, s.l., 1915).
  9. ^ Lastre e fasce marmoree cosmatesche dell'antica schola cantorum, in occasione di restauri antichi, sono state ricollocate nel pavimento esistente.
  10. ^ Elisabetta Scungio, Arte e monachesimo benedettino nell'Alto Lazio dalle origini al XII secolo (tesi di dottorato in Storia dell'Arte, Università di Roma "La Sapienza", anno accademico 2012-2013).
  11. ^ Altre tipologie architettoniche funzionali alla separazione fra clero e fedeli sono la pergula, l'iconostasi, il pontile-tramezzo (o jubé) e il tramezzo affrescato. Dal punto di vista strutturale, tuttavia, il riferimento architettonico più vicino sembra essere il bema delle chiese cristiane orientali di epoca paleo o protobizantina, nella sue varianti tipologiche dette greca e siriaca (secoli V-VI): ovvero, lo spazio rettangolare, recintato e sopraelevato, riservato al clero, profondamente aggettante all'interno della navata mediana, con apertura centrale e ambone integrato nella recinzione stessa. Si veda la voce bema nell'Enciclopedia dell'Arte Medievale (Treccani).
  12. ^ Ad esempio, nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo, a Roma, la demolizione della schola cantorum avvenne probabilmente in occasione dei lavori di rinnovamento operati negli ultimi anni del secolo XVI, ma prima del 1588, anno in cui l'Ugonio la descrive (vedi nota 3). L'Ugonio stesso (op. cit., p. 29), ricorda però che già prima del 1588 gli amboni erano stati rimossi dalla schola cantorum: "Et però quivi appresso [cioè nella schola cantorum] solevano farsi i pulpiti di marmo, per cantar l'Evangelio, et l'Epistola, i quali però, sì come da molti altri luoghi, così da questa Chiesa ancora sono stati levati." Analogamente, la duecentesca schola cantorum di Santa Pudenziana, fatta realizzare probabilmente nel 1210 dal cardinale Pietro Sasso di Anagni (secondo l'iscrizione ancora vista dall'Ugonio), fu demolita nel 1588 durante i restauri della chiesa promossi dal cardinale Enrico Caetani. Anche nella cattedrale di Anagni la schola cantorum, opera cosmatesca dei Vassalletto, fu fatta demolire dal vescovo Antonio Seneca di Norcia nei primi anni del secolo XVII. Come ricordato nelle note precedenti, le attuali scholae di Santa Maria in Cosmedin e di Santa Sabina sono ricostruzioni rispettivamente del 1897 e del 1936.

Bibliografia

  • Agostino Amore, Schola cantorum, in Dizionario storico religioso, Roma 1966
  • AA.VV., Dizionario dei termini artistici, Electa-Bruno Mondadori, Milano 1996
  • Nicola Severino, Pavimenti cosmateschi nella Tuscia e nella Sabina, Roccasecca 2013 (anche in pdf su Academia.edu)
  • Nicola Severino, Le Opere Cosmatesche nella Cattedrale di Anagni, pubblicato nel 2011 su Academia.edu

Voci correlate