meliora latent[1] Interzato in fascia, al 1º d'oro all'aquila di nero, nascente dalla partizione, con il volo abbassato, coronata del campo; al 2º d'oro al riccio di nero; al 3º d'oro a due fasce ondate d'azzurro.
La famiglia Rizzo è una famiglia nobileitaliana, la cui ascendenza è attestata dalla fine del XIII secolo[8] sino ai giorni nostri[1].
Storia
Il nome della famiglia ha subito variazioni ortografiche a seconda dell'epoca e dei rami: nell'antichità erano denominati anche Riccio, Ricci oppure Ritii[9]. L'unica linea superstite, quella cilentana, ha modificato il cognome in Rizzo dei Ritii con R.D. del 14 giugno 1941[6].
La prima attestazione storica dei Rizzo campani l'abbiamo con Giovanni, il quale fu tra i baroni del Principato Citra che prestarono denaro al re Carlo I d'Angiò nell'anno 1276[13], mentre i Rizzo furono presenti in Sicilia dal XIV secolo fino all'inizio del XX secolo, quando si estinsero nella famiglia Riolo[5]. Anche i Rizzo di Piacenza deriverebbero dal principale lignaggio della casata.
La famiglia fu molto attiva sotto i sovrani angioini ed aragonesi, rivestendo cariche importanti nella magistratura e nell'esercito, con conseguente elargizione di feudi e privilegi, e venendo ascritta ai Seggi di Forcella (1444) e Nido (1501) dei Sedili di Napoli, ma agli inizi del XVIII secolo perse gli onori del patriziato, in quanto abbandonò Napoli per trasferirsi definitivamente nel Cilento.
Un ramo della famiglia passò in Sicilia nel 1321 con Sergio Riccio, il quale vi giunse come visitatore delle fortezze di quel Regno. Stabilitasi quindi in Sicilia, la famiglia si propagò a Catania, Messina (da rimarcare la baronia di Merì[14][15]), Palermo e Trapani. In quest'ultima città si distinse per le primarie cariche che vi occupò. Possedette le baronie delle isole di Arcudaci, Favignana, Levanzo, Marettimo, San Gioacchino e Sant'Anna[16].
Un altro ramo, quelli dei Marchesi sul cognome, passò a Felitto, Salerno con Don Luigi, di Don Michele e della Baronessa Donna Beatrice Caracciolo-Pisquizi di Castelfranco, cognata del Principe Don Paolo II Di Sangro, il quale dovendo conseguire una grossa somma di denaro dalla principessa Enrichetta SanseverinoCarafa di San Lorenzo, duchessa di Laurino e signora di Felitto, gli assegnò il paese affinché con le rendite del suddetto soddisfacesse il debito[17]. Luigi avendo messo lì su famiglia con Donna Marianna De Insola diramò nel suddetto comune il suo ramo, trasferitosi successivamente in Castel San Lorenzo. Leonardo figlio di Francesco e della Baronessa Donna Rosa Ciardulli di Laurino, nacque a Felitto nel 1640 fu Regio Notaio presso il collegio di Napoli. Si sposò con la Baronessa Donna Vittoria Pepoli di San Giovanni dalla quale ebbe Don Francesco avvocato in Napoli ed il Dottore Don Rosario, Protonotario Apostolico, Canonico della Collegiata di Laurino, Vicario Generale del Vescovo di Ariano e della diocesi di Capaccio, autore delle “Costituzioni Sinodali” (1714)[18] della “Prattica del Foro Ecclesiastico” e della “Pratica Ecclesiastica Degiudizj Ceiminali, e Dapplellazione”[19]
Risposatosi ebbe dalla nobile Donna Caterina Roselli Padre Gaetano, gesuita.
Ritiratosi in Napoli fu celebre avvocato di quei Supremi Senati e diede alla luce la “Prattica Civile del Foro” quella del “Sindacato degli offiziali di giustizia”. Fece anche le “Aggiunte alle prattiche civili e criminali” di Carlantonio di Rosa e di Sarno e del Direttorio delle Università e del Sindacato di Cervellino con altre opere inedite, tra le quali la “Prattica criminale” ed un “Trattato de Foro”[20].
Da studi sulle sepolture nel Duomo di Amalfi sembra che lo stemma antico fosse troncato al 1º d'argento al riccio di nero al naturale e al 2º a tre fasce controinnestate di nero, quindi del tutto simile a quello originario dei Rizzo di Sicilia[1][27][30][31]. Il 24 dicembre 1454 l'imperatore Federico III d'Asburgo ricompensò i Rizzo per i loro meriti definendone la composizione dello stemma: interzato in fascia, al 1º d'oro all'aquila di nero, nascente dalla partizione, con il volo abbassato, coronata del campo; al 2º d'oro al riccio di nero; al 3º d'oro a due fasce ondate d'azzurro, avente per cimiero un'aquila nera coronata d'oro e svolazzi di oro, nero ed azzurro.
Il motto della famiglia, tratto dall'opera Le metamorfosi di Ovidio, è costituito dall'espressione latinameliora latent[1], che tradotta significa le cose migliori sono nascoste, e vuol essere un omaggio all'arte dello scoprire le verità che si celano dietro le apparenze.
Feudi
Tra i numerosi feudi e conseguenti titoli nobiliari di cui godette in passato la famiglia, ricordiamo:
Marchesati: Castrovetere (1648) sulla terra di Castelvecchio[32][33], con il titolo di marchese sul cognome (dal 27 giugno 1770)[7];
AA.VV., Elenco storico della nobiltà italiana: compilato in conformità dei decreti e delle lettere patenti originali e sugli atti ufficiali di Archivio della Consulta Araldica dello Stato Italiano, Roma, Sovrano Militare Ordine Gerosolimitano di Malta, 1960.
AA.VV., Libro d'oro della nobiltà italiana, 9ª (vol. 10, 1937-1939), 10ª (vol. 11, 1940-1949) e 23ª ed. (vol. 28, 2005-2009), Roma, Collegio Araldico.
Biagio Aldimari, Memorie historiche di diverse famiglie nobili, così napoletane, come forastiere, Napoli, 1691, ISBN non esistente.
Francesco Alvino, Viaggio da Napoli a Castellammare con 42 vedute incise all'acquaforte, Napoli, Stamperia dell'Iride, 1845.
Scipione Ammirato, Delle famiglie nobili fiorentine, Firenze, 1615, ISBN non esistente.
Andrea Borella, Annuario della nobiltà italiana, 22ª e 30ª ed., Teglio, SAGI, 2006 e 2014.
Carlo Borrello, Difesa della nobiltà napoletana, traduzione di Ferdinando Ughelli, Roma, 1655, ISBN non esistente.