I Rivera sono un'importante famiglia dell'Aquila, ascritta alla nobiltà romana nel 1562.
Storia
La casata dei Rivera si ritiene originata in Abruzzo dalla famiglia Collimento, a sua volta discendente dai Conti dei Marsi. Il capostipite è ritenuto essere Pietro Collimento, detto "Rivera", discendente dal conte di Collimento Odorisio.
La famiglia si stabilì all'Aquila sin dalla sua fondazione e, a partire dal XVI secolo, a differenza degli altri casati locali, acquisì un notevole potere politico ed economico soprattutto grazie all'acquisizione di immobili ed alle cospicue rendite che ne derivavano[2][3]. L'ascesa dei Rivera segnò proprio il passaggio di potere tra il ceto mercantile, che aveva governato la città nell'epoca rinascimentale, ed il rampante ceto nobiliare; detto passaggio si definì nel 1545 con l'elezione a camerlengo dell'Aquila di Giovancarlo Rivera[4].
Nel 1562 la famiglia venne ascritta alla nobiltà romana e nel 1566 al Sovrano Militare Ordine di Malta per mezzo dei condottieri Baldassare Rivera e Scipione Rivera, dei quali il primo, col grado di sergente maggiore, prese parte alla difesa di Malta contro i turchi, mentre il secondo combatté sulle galee dell'Ordine, ma fu fatto prigioniero e trucidato in Algeri nel 1570.
Negli anni seguenti la famiglia Rivera espresse altri camerlenghi – Ludovico Rivera nel 1573 e Cesare Rivera nel 1597 – e sul finire del XVII secolo venne inglobata nella Deputazione dei Sedici per il quarto di San Giovanni mediante la figura di Gaspare Rivera[5]. Nel 1633 Antonia Rivera sposò il barone di Ocre Andrea Bonanni. In questo periodo il casato fu attivo – insieme agli Alfieri, agli Antonelli, ai Quinzi, ai Pica e ai Porcinari – per richiedere maggiore autonomia ed indipendenza alla città rispetto al governo centrale di Napoli[6], richieste che portarono, nel momento di maggiore tensione, all'arresto di Girolamo Rivera[7]. In seguito al terremoto dell'Aquila del 1703, Giuseppe Rivera è nominato commissario per l'emergenza[8]. Il casato acquisì prestigio anche nella sfera romana allorché Domenico Rivera fu creato cardinale nel 1733 da papa Clemente XII; nello stesso anno Francesco Rivera fu nominato vescovo, diventando in seguito arcivescovo.
Nel 1740 un'esponente della famiglia, Vittoria Rivera, sposò Giuseppantonio Vespa, membro di un'agiata famiglia di Pacentro con forti interessi nell'economia armentaria.
Sul finire del Settecento i Rivera furono investiti nella titolarità del feudo di Vittorito nella persona di Francesco, nipote di Vittoria. Il fratello di Francesco, Lelio, ricoprì l'ufficio di sovrintendente delle regie poste e fu insignito del titolo di marchese da papa Pio VII nel 1815. Entrambi i fratelli ebbero un ruolo di primo piano nei moti antigiacobini di matrice sanfedista che scossero l'Abruzzo sul finire dell'XVIII secolo.
Un altro esponente di rilievo della famiglia fu Cesare, sottintendente dell'Abruzzo Ulteriore Secondo, che sposò Camilla Corvi. Il figlio primogenito della coppia, Francesco Rivera (1844-1904), sposò a Roma il 29 giugno 1873 la marchesa Margherita Del Bufalo (1850-1933)[9] e, per l'occasione, papa Pio IX conferì alla famiglia il titolo di duca romano, cui si aggiunse quello di duca nel 1919, entrambi confermati con Regio Decreto nel 1927. La famiglia godette inoltre del titolo di barone di Vittorito con RR.LL.PP. del 1897.
Tra gli ultimi esponenti della casata ricordiamo Giuseppe Rivera (1846-1923), fratello minore del suddetto Francesco, tra i promotori della fondazione della Deputazione abruzzese di storia patria (1888) e suo presidente dal 1896 fino alla morte[10]; tra i figli di Francesco troviamo invece lo storico Cesare Rivera (1874-1945)[11]; Luigi Rivera, anch'egli letterato e storico, presidente della Deputazione abruzzese di storia patria dal 1946 al 1958[11]; e infine l'accademico Vincenzo Rivera (1890-1967), considerato il fondatore dell'Università degli Studi dell'Aquila e del giardino botanico alpino di Campo Imperatore, a lui intitolato.
La famiglia ha posseduto i seguenti feudi: Aleudi, Borbona, Carceri Civitatomassa, Fontecchio, Pomarioli, Posta, Scappoli, Scoppito, Tione e Vittorito[12].
Note
- ^ Berardo Candida Gonzaga, p. 179.
- ^ Silvia Mantini, p. 68.
- ^ Alessandro Clementi e Elio Piroddi, p. 68.
- ^ Silvia Mantini, p. 90.
- ^ Silvia Mantini, p. 95.
- ^ Silvia Mantini, p. 182.
- ^ Silvia Mantini, p. 187.
- ^ Silvia Mantini, p. 286.
- ^ Raffaele Colapietra, p. 21.
- ^ Raffaele Colapietra, p. 30.
- ^ a b Raffaele Colapietra, p. 31, nota n. 15.
- ^ Berardo Candida Gonzaga, pp. 179-180.
Bibliografia
- AA.VV., Elenco dei Cavalieri del S. M. ordine di S. Giovanni di Gerusalemme ricevuti nella veneranda lingua d'Italia dalla fondazione dell'ordine ai nostri giorni compilato da Francesco Bonazzi di Sannicandro, vol. 2, Napoli, Detken & Rocholl, 1907.
- Berardo Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle province meridionali d'Italia, vol. 3, Bologna, Arnaldo Forni Editore, 1875, ISBN non esistente.
- Alessandro Clementi e Elio Piroddi, L'Aquila, Bari, Laterza, 1986.
- Raffaele Colapietra, Olio di fegato di merluzzo e vecchi merletti: vita quotidiana di aristocratici di provincia tra Otto e Novecento, vol. 56, Lares, 1990.
- Silvia Mantini, L'Aquila spagnola, Roma, Aracne, 2008.
- Touring Club Italiano, L'Italia. Abruzzo e Molise, Milano, Touring Editore, 2005.
Voci correlate