Il Ritratto Paolina Adorno Brignole-Sale è un dipinto a olio su tela di Anton Van Dyck datato 1627 e conservato ai Musei di Strada Nuova a Genova.
Storia
Provenienza
Il dipinto fu donato nel 1874 al comune di Genova dalla Duchessa di Galliera Maria Brignole-Sale De Ferrari.
Il ritratto raffigura Paolina Adorno Brignole-Sale e venne eseguito assieme a quello del marito, il marchese Anton Giulio Brignole-Sale. Questi due dipinti sono presumibilmente gli ultimi che il pittore fiammingo realizzò a Genova[1]. Appartengono da sempre alla quadreria Brignole-Sale e sono gli unici ad essere rimasti nella residenza della famiglia da cui sono stati commissionati. Vennero portati a Palazzo Rosso dal figlio della coppia, Ridolfo I, dopo la metà del Seicento. Nel 1687 vennero ricomprati dal cadetto Gio. Francesco I per evitare che alla morte del fratello, deceduto senza discendenti maschi, finissero in mani estranee[2]. Sono tutt'ora esposti al secondo piano nobile del Palazzo.
Descrizione e stile
Lo schema compositivo segue da vicino i modelli ritrattistici utilizzati in diverse occasioni da Van Dyck durante la sua carriera artistica. La nobildonna, ritratta all'età di vent'anni[3], è rappresentata a figura intera e girata di tre quarti, con lo sguardo rivolto direttamente verso l'osservatore. Nella mano destra tiene una rosa completamente sbocciata, simbolo della fugacità della bellezza destinata a sfiorire. Lo stesso significato viene richiamato anche dal pappagallo, le cui piume sono sparse sul cuscino. Entrambi i dettagli sono stati presumibilmente dipinti da Jan Roos[3][4] che collabora con Van Dyck durante il suo soggiorno genovese grazie all'intermediazione del pittore anversano Cornelis De Wael, maestro del Roos[5].
L'ambientazione è contraddistinta da un loggiato con imponenti colonne e un drappo rosso che scende dall'alto. Paolina indossa un sontuoso abito da cerimonia realizzato con una leggera sfumatura di colore blu per rappresentare il tessuto, e con una pasta più densa di colore giallo e bianco, per l'oro dei ricami. Questi ultimi sono resi ancor più visibili grazie al restauro del 1955, che ha eliminato i maldestri interventi del passato[6]. Tutti gli elementi vengono inseriti per soddisfare le esigenze di rappresentanza e di status nobiliare raggiunto dalla famiglia. L’abilità ritrattistica di Van Dyck riscosse infatti un notevole successo tra la nobliltà emergente, decisa a sfruttare il valore simbolico delle immagini per affermare e celebrare il proprio ceto sociale. Sono numerosi gli esponenti dell'aristocrazia cittadina genovese che vollero farsi effigiare dal giovane artista fiammingo giunto a Genova nel 1621 come “miglior discepolo” di Rubens[2].
Note
- ^ Raffaella Besta (a cura di), Musei di Strada Nuova a Genova, Milano, Skira, 2010, p. 73.
- ^ a b Scheda dell'opera sul catalogo online dei Musei di Strada Nuova, su catalogo.museidigenova.it.
- ^ a b Van Dyck a Genova. Grande pittura e collezionismo, Electa, 1997, p. 298.
- ^ Anna Orlando, Van Dyck e i suoi amici, Fiamminghi a Genova 1600-1640, Sagep Editori, 2018, p. 117.
- ^ Ivi p. 112
- ^ Superbarocco: arte a Genova da Rubens a Magnasco, Skira, 2022, p. 160, ISBN 978-88-572-4705-2, OCLC on1311381235. URL consultato il 15 maggio 2024.
Bibliografia
- Christopher Brown, Hans Vlieghe e M. Fornasier, Antonie Van Dyck, 1599-1641. Catalogo della mostra (Anversa, 15 maggio-15 agosto 1999; Londra 11 settembre-10 dicembre 1999), Rizzoli, 1999, ISBN 8817860603.
- Piero Boccardo (a cura di), L'età di Rubens. Dimore, committenti e collezionisti genovesi, Skira, 2004.
- Raffaella Besta, Piero Boccardo e Margherita Priarone (a cura di), Genova. Musei di Strada Nuova. Palazzo Rosso, Palazzo Bianco e Palazzo Tursi, Silvaba, 2017.
- Maria Grazia Bernardini e Annamaria Bava, Van Dyck pittore di corte, Arthemisia, 2018.
Voci correlate
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