Proveniente da una famiglia estremamente povera, riuscì tuttavia a frequentare l'università, laureandosi in Legge. Aderì al Partito Socialista Italiano, e alle elezioni del 1920 (durante il "Biennio rosso") si candidò e venne eletto sindaco di Chioggia, dove porta avanti un programma di abbassamento dei prezzi e blocco degli affitti, revisione della tassazione, lotta ad analfabetismo e speculazione edilizia, assistenza sanitaria gratuita per le famiglie povere[1]. L'anno successivo decise di aderire al PCI, rassegnando pertanto le dimissioni dalla carica di primo cittadino[2][3].
Con l'avvento del fascismo e dopo la Marcia su Roma si trasferì a Trieste, dove diresse il giornale Il Lavoratore, nonostante la costante minaccia della polizia e dei fascisti. Fu comunque costretto a spostarsi a Milano, dirigendo per un breve periodo l'Unità[2][3].
Ravagnan fu arrestato nell'agosto 1926 e fu condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato (1926-1943) a 8 anni e 6 mesi di reclusione[2][3]. Scontò 6 anni e nel 1932 fu liberato grazie all'amnistia. Decise quindi di tornare a Trieste, dove riuscì a mantenersi grazie alle lezioni private; contemporaneamente tenne attivi i contatti con il PCI[2].
Scelse poi di trasferirsi in Francia, prendendo attivamente parte alla resistenza durante la prima metà degli anni quaranta: fu infatti tra i coordinatori dei Francs-tireurs et partisans nel parigino. In quegli stessi anni diresse prima il giornale parigino La voce degli italiani e poi, dopo la liberazione di Parigi, Italia Libera[3].
^abcd Giuseppe Schiavon, Autobiografia di un sindaco: i "Quaderni" ritrovati del primo sindaco di Padova libera, a cura di Tiziano Merlin, Il Poligrafo, 1995, p. 189, ISBN88-7115-048-1, ,.