Ponzio Pilato

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Ponzio Pilato
Governatore della Giudea
Nascitafine I secolo a.C./inizio I secolo
MorteI secolo
PredecessoreValerio Grato
SuccessoreMarcello
ConsorteClaudia Procula
GensPontia
Prefettodal 26 al 36
Ponzio Pilato
Statua di Ponzio Pilato, a San Giovanni Rotondo, sul percorso della Via Crucis monumentale, nella stazione di "Gesù condannato a morte".
Nascitafine I secolo a.C./inizio I secolo
MorteI secolo
EtniaRomano
ReligioneReligione romana
Dati militari
Paese servitoImpero romano
Forza armataEsercito romano
ArmaCavalleria romana
UnitàLegioni romane in Giudea
GradoPrefetto romano
Altre caricheGovernatore della Giudea
Noto perprocesso di Gesù
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San Ponzio
Ponzio Pilato si lava le mani, da un dipinto di Duccio di Buoninsegna
 

Politico e prefetto della Giudea

 
Nascitafine I secolo a.C./inizio I secolo
MorteI secolo
Venerato daChiesa copta
CanonizzazioneVI secolo
Ricorrenza25 giugno[1]

Ponzio Pilato (in latino Pontius Pilatus; in greco Πόντιος Πιλᾶτος; in ebraico פונטיוס פילאטוס; fine I secolo a.C./inizio I secoloI secolo) è stato un funzionario e militare romano, che fu prefetto della Giudea per circa un decennio durante il regno di Tiberio, negli anni intorno al 30.

È ricordato principalmente per il ruolo che le fonti cristiane gli attribuiscono nel processo di Gesù e per le leggende fiorite nei secoli successivi, che arrivarono in alcuni casi a considerarlo un santo e un martire: per tale motivo è ricordato come martire dalla Chiesa copta e come santo dalla Chiesa etiope.[1]. A riguardo brevemente è ricordato anche da Tacito e Flavio Giuseppe.

Le fonti storiografiche

Le fonti antiche che parlano di lui sono due autori giudei del I secolo d.C: Flavio Giuseppe, la fonte principale, ne parla nelle opere Guerra giudaica (scritta negli anni 70) e soprattutto Antichità giudaiche (scritta negli anni 90); Filone di Alessandria ne parla ne L'ambasceria a Gaio, scritta circa nel 41, il che ne fa temporalmente la fonte più vicina agli eventi.[2] Un breve accenno è inoltre presente negli Annali di Tacito; i due libri di tale opera in cui, presumibilmente, si doveva parlare anche del mandato di Pilato in Giudea sono andati perduti.[2] Infine bisogna citare anche le lettere di Ignazio di Antiochia agli Smirnei, ai Magnesi e ai Tralli, scritte all'inizio del II secolo.

Biografia

Il nome di Ponzio sembrerebbe rimandare a origini sannite.[3] Il cognome è stato talvolta[3] fatto derivare da pileus, un copricapo usato durante l'affrancamento degli schiavi, il che ne farebbe un liberto o almeno discendente di liberti; altri lo hanno associato, con maggiore verosomiglianza, a pilum, un giavellotto;[3] il praenomen non è riportato da alcuna fonte.

Come tutti i funzionari di rango minore[Nota 1] doveva appartenere all'ordine equestre.[3]

Dopo Valerio Grato, fu il quinto prefetto della Giudea, in carica tra gli anni 26 e 36. Alcuni studiosi hanno ipotizzato (essendo l'anno del suo insediamento lo stesso del ritiro di Tiberio a Capri) che la sua nomina a governatore sia stata dovuta all'appoggio di Seiano[4]; altri, invece, escludono tale collegamento tra Pilato e il prefetto del pretorio.[5]

Secondo quanto riportato da Flavio Giuseppe, Pilato provò senza successo a romanizzare la Giudea, introducendo immagini dell'imperatore a Gerusalemme (cosa che suscitò una forte protesta perché la legge mosaica non lo consentiva)[6] e provando a costruire un acquedotto coi fondi che si raccoglievano nel Tempio.[7] Secondo Filone di Alessandria, Pilato sarebbe stato corrotto, licenzioso e crudele e avrebbe rubato e comminato condanne senza processo.[8]

Anche se Gerusalemme rimaneva la capitale, il governatore romano aveva la sua residenza a Cesarea che, grazie alla sua ubicazione, rappresentava una buona scelta strategica.[9]

È famoso per il ruolo che svolse nella passione di Gesù, secondo quanto testimoniano i Vangeli poiché fu giudice del processo di Gesù rifiutatosi di condannarlo, in seguito si "lavò le mani", cedendo di fatto alle richieste dei sadducei che volevano la crocifissione. Gli studiosi moderni hanno notato di come gli evangelisti abbiano dato di Pilato un'immagine relativamente "amichevole" rispetto alla descrizione che di lui fecero Giuseppe Flavio e soprattutto Filone[10]; tutti e quattro i vangeli canonici concordano sul rifiuto di Pilato di condannare il Nazareno, cedendo soltanto contro il suo volere (rappresentato in Matteo 27:24 dal noto episodio del "lavaggio delle mani") alle richieste dei sadducei che volevano la crocifissione.

Il governatore (legato) di Siria, Lucio Vitellio (padre del futuro princeps), lo destituì nell'anno 36 o 37 a causa della durezza con cui aveva represso i Samaritani che avevano messo in atto la rivolta del monte Garizim e lo inviò a Roma per rispondere del suo operato davanti al principe. Ma prima che Pilato potesse raggiungere Roma, Tiberio morì. Da questo momento la sua figura scompare dalle fonti e non è noto il suo destino.[3][11] Secondo Svetonio uno dei primi atti di Caligola come imperatore fu di concedere l'amnistia ai condannati da Tiberio e a tutti coloro che erano imputati in un processo[12]; è perciò possibile che Pilato sia riuscito ad evitare il processo a suo carico.

Nel ruolo di prefetto della Giudea gli subentrò Marcello, amico di Lucio Vitellio.[11]

Iscrizione di Cesarea di Giudea

Lo stesso argomento in dettaglio: Iscrizione di Pilato.

Nel 1961, presso l'anfiteatro romano di Cesarea, è stata rinvenuta casualmente una lapide risalente al periodo tiberiano, su cui Pilato era menzionato nell'incisione incompleta, che recita: "[Caesarensibu]s Tiberiéum/[Pon]tius Pilatus/[Praef]ectus Iuda[ea]e",[13] traducibile forse come "presso i Cesarensi, Ponzio Pilato, Prefetto di Giudea, [dedicato a] Tiberio". Altre interpretazioni riferiscono di una possibile attestazione di lavori effettuati da Pilato presso l'anfiteatro della città, forse colpita da un terremoto, o della presenza sul luogo del ritrovamento di un tempio realizzato in onore dell'imperatore da Pilato.[14]

Ruolo nella passione di Gesù

Negli scritti cristiani

Secondo il Nuovo Testamento - benché secondo alcuni tali narrazioni non siano storicamente conciliabili e attendibili, rappresentando queste, per certi studiosi, la personale interpretazione teologica di ogni evangelista su precedenti materiali della tradizione cristiana[15] - Gesù fu portato al cospetto di Pilato dalle autorità ebraiche di Gerusalemme, che, dopo averlo arrestato, lo interrogarono e ricevettero delle risposte che lo fecero considerare blasfemo.

Pilato compare in tutti e quattro i Vangeli canonici. Il Vangelo secondo Marco mostra Gesù innocente dell'accusa di avere complottato contro l'impero romano e raffigura Pilato come estremamente riluttante a giustiziarlo, dando la colpa alle gerarchie giudaiche per la condanna, anche se Pilato era l'unica autorità in grado di decidere una condanna a morte. Nel Vangelo secondo Matteo Pilato si lava le mani del caso e, riluttante, manda Gesù a morte. Nel Vangelo secondo Luca è scritto: "Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo, disse: «Mi avete portato quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte»" (Lc 23, 13-15). Nel Vangelo secondo Giovanni Pilato interroga Gesù, che non afferma di essere né il Figlio dell'Uomo né il Messia, ma gli dà conferma rispondendo "tu lo dici: io sono" (Gv 18,37).[16]

Ecce Homo, dipinto di Antonio Ciseri, raffigurante Ponzio Pilato che presenta Gesù flagellato alla gente di Gerusalemme

In merito alla figura di Ponzio Pilato, il racconto dei Vangeli non appare storico e gli esegeti del cattolico "Nuovo Grande Commentario Biblico"[17] osservano che "i ritratti che ne danno i vangeli come di un uomo indeciso e preoccupato della giustizia contraddicono altre antiche descrizioni della sua crudeltà e ostinazione", mentre il teologo John Dominic Crossan, ex sacerdote cattolico e tra i cofondatori del Jesus Seminar,[18] rileva come le informazioni "riguardanti Pilato [che ci giungono] da Flavio Giuseppe mostrano la sua mancanza di interesse per la sensibilità religiosa ebraica e la sua capacità di avere metodi piuttosto brutali per il controllo della popolazione".[19]

La domanda più importante che Pilato fece a Gesù fu se lui considerasse se stesso come re dei Giudei. Nella prosecuzione dell'interrogatorio, secondo il Vangelo secondo Giovanni, Gesù affermò di essere venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità e proseguì dicendo: «Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce»; al che Pilato chiese: «Che cos'è la verità?». Tale descrizione dell'interrogatorio, data dal solo Vangelo secondo Giovanni, è storicamente inverosimile[20], presentando la massima autorità romana Ponzio Pilato, noto per la sua crudeltà nei confronti degli Ebrei, che fa da spola fuori e dentro il pretorio almeno 6 volte, fungendo da portavoce tra Gesù e i capi giudei[Nota 2]; questo per non urtare la sensibilità religiosa dei suoi sudditi, in quanto i capi dei giudei non vollero entrare nel pretorio per non compromettere la loro purità rituale, in vista della cena pasquale di quella sera.[Nota 3]

Pilato tentò di non condannare Gesù e, visto che in occasione della Pasqua era usanza che fosse liberato un prigioniero, Pilato lasciò al popolo la scelta tra Gesù e un assassino di nome Barabba. Tale episodio, anche secondo molti studiosi cristiani, è da ritenersi leggendario e, in merito a questa amnistia per la Pasqua, va rilevato come non sia mai stata documentata storicamente per nessun governatore romano di alcuna provincia[Nota 4] e gli stessi evangelisti sono in disaccordo se tale amnistia provenisse dai Romani o dagli Ebrei;[Nota 5] anche la figura di Barabba, personaggio che non è menzionato al di fuori dei vangeli, probabilmente non è storica, ma anch'essa di natura teologica.[Nota 6]

Nel solo Vangelo secondo Matteo ci sono alcuni altri elementi: un intervento della moglie di Pilato (secondo la tradizione successiva chiamata Claudia Procula), che gli consiglia di rilasciare Gesù, e l'episodio di Pilato che si lava le mani davanti alla folla dicendo: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!», cui gli Ebrei rispondono: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli» (Mt27,24-25[21]). Tutti questi elementi, presenti nel solo Vangelo di Matteo, non sono considerati storici - così come gli episodi matteani, relativi a Giuda, dei 30 pezzi di argento e del Campo di sangue[22] -, ma sono elementi tratti da tradizioni popolari e inseriti dall'evangelista per i suoi scopi teologici[Nota 7]. In particolare, l'assunzione di responsabilità degli Ebrei[23], in risposta al lavarsi le mani di Pilato, "com'è noto […] non è storica: proietta all'indietro le polemiche tra i Giudei e i seguaci di Gesù della fine del I secolo";[Nota 8] tale episodio, atto a scagionare Pilato, sarà utilizzato dai cristiani in maniera antiebraica e sarà "trattato come se fosse una auto maledizione con la quale la gente ebraica attirò su sé stessa il sangue di Gesù per tutti i tempi successivi".[Nota 9] Il gesto di lavarsi le mani, inoltre, per quanto presente nella letteratura classica greca, sarebbe stato introdotto dall'evangelista - che scriveva alcuni decenni dopo e in ambiente greco-romano, al di fuori della Palestina - per esprimersi "con un linguaggio comprensibile per i lettori «giudeo-cristiani» che sapevano del rituale"[24] e non appare storicamente plausibile in riferimento a Pilato.[Nota 10]

Riguardo alla flagellazione di Gesù, presentata nel processo di fronte a Pilato, gli evangelisti[25] riportano differenti resoconti: Luca parla di una fustigazione (pena meno grave in cui si percuoteva il condannato senza frustarlo) e la pone a metà processo, senza evidenziare che tale pena sia poi stata applicata; Giovanni pone la flagellazione (pena più severa, in cui si colpiva il condannato con un flagello, cioè una frusta, fatto di lacci di cuoio aventi in punta schegge d'ossa, piombi e pungiglioni) a metà processo, stessa scelta temporale di Luca; Marco/Matteo fanno invece riferimento a una flagellazione a processo terminato; la versione storicamente più verosimile appare essere quella di Marco/Matteo: la flagellazione era posta dopo la condanna e come parte della pena insieme alla crocifissione.[Nota 11]

Pilato è anche presente negli Atti di Pilato, un apocrifo biblico del II/III secolo.

Eusebio di Cesarea, citando degli scritti apocrifi, afferma che Pilato non ebbe fortuna sotto il regno di Caligola, che lo inviò nelle Gallie, dove si sarebbe suicidato nella città di Vienne.[26] Anche secondo Agapio di Ierapoli Pilato si suicidò durante il primo anno del regno di Caligola.[27]

Fonti antiche non cristiane

Un altro testo che parla di Pilato in relazione a Gesù è il Testimonium Flavianum, un brano tramandato all'interno delle Antichità giudaiche dello storico giudeo Flavio Giuseppe e risalente all'anno 93 o 94:

«Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, e attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia di altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani.»

Il Testimonium Flavianum tuttavia è da tempo oggetto di importanti dibattiti: sembra improbabile che uno storico di fede ebraica, che non aderì mai al cristianesimo, possa avere affermato con così tanta sicurezza che Gesù fosse il Cristo e che egli fosse risorto dai morti.[28] Per tale motivo, gli studiosi odierni ritengono che il Testimonium originariamente scritto da Flavio Giuseppe sia stato oggetto di un'interpolazione da parte dei copisti cristiani, che avrebbero aggiunto a esso materiale non presente nell'opera originale.[29]

Nonostante ciò, la maggioranza degli studiosi odierni ritiene che il Testimonium non sia una completa interpolazione cristiana e che fosse originariamente presente nel testo delle Antichità Giudaiche, sebbene sia stato poi oggetto di modifiche da parte di copisti.[30][31][32][33][34][35]

Un riferimento a Pilato è inoltre presente nel brano dello storico romano Tacito risalente all'anno 116 o 117:

«Cristo era stato ucciso sotto l'imperatore Tiberio dal procuratore Pilato; questa esecrabile superstizione, momentaneamente repressa, è iniziata di nuovo, non solo in Giudea, origine del male, ma anche nell'Urbe, luogo nel quale confluiscono e dove si celebrano ogni tipo di atrocità e vergogne.»

Secondo alcuni, in questo passo di Tacito ci sarebbe un errore: a Pilato infatti viene assegnato il ruolo di procuratore e non quello di prefetto, mentre tale titolo, a parere di alcuni studiosi, entrò in uso solo dal 44. Inoltre il fatto che Pilato venisse anche qualificato con il titolo di prefetto è confermato dal rinvenimento dell'iscrizione di Cesarea, dov'è appunto definito Prefetto della Giudea.

Altri fanno però notare come il termine "procuratore" venga attribuito da Flavio Giuseppe anche a Coponio, il primo prefectus cum iure gladii della Giudea appena diventata provincia romana.[36] Questo dimostrerebbe una certa confusione nell'uso dei termini da parte degli storici antichi: prefetto indicava un ruolo militare, mentre procuratore un ruolo legato alle finanze.

Pilato nella Chiesa ortodossa etiope

La Chiesa ortodossa etiope segue una tradizione secondo cui, dopo il processo a Gesù, Pilato si convertì; per questo lo venera come santo, celebrandone la ricorrenza il 25 giugno.[1]

Resti di Peltuinum, in provincia dell'Aquila, dove Pilato avrebbe posseduto la villa dell'esilio

Nella leggenda

Fontana Fraterna di Isernia: una lastra d'età romana contenente l'epigrafe AE PONT è stata popolarmente interpretata come una dedica proveniente dal monumento sepolcrale di Pilato

La tradizione cristiana ha generato leggende in competizione tra loro sul suo luogo di nascita.

Numerose località si contendono l'onore di avergli dato i natali o di averlo ospitato al suo rientro in Italia dopo i fatti evangelici. Per esempio, a San Pio di Fontecchio (AQ) vi è un monte detto Montagna di Pilato dove la tradizione locale colloca la villa in cui Pilato si ritirò prima di morire. Il ritrovamento in tempi recenti di resti di edifici romani ha stimolato ulteriormente questa leggenda.

Altre leggende hanno come riferimento l'antica città di Peltuinum (AQ), sostenendo che la villa di Pilato fosse localizzata a Tussio. Ad alimentare ulteriormente la leggenda è sopravvenuto il ritrovamento di due leoni in pietra risalenti al I secolo che porterebbero invece a indicarne la tomba. Sempre a Pilato viene accreditata l'introduzione nell'altopiano di Navelli dello zafferano (Crocus sativus).

Vi è anche una rivendicazione molisana sulla città natale di Pilato, ossia Isernia, per un'epigrafe d'età romana presente sulla storica fontana Fraterna.

Secondo un'altra leggenda, Pilato fu esiliato dall'imperatore Caligola a Vienne, in Francia, e vi morì suicida. Sulla via per Vienne avrebbe soggiornato prima a Torino, nella Porta Palatina, e poi a Nus in Valle d'Aosta, dove il castello è noto con il nome di "Castello di Pilato", nonostante la costruzione attuale risalga al medioevo.

Altra leggenda vuole i suoi natali ad Atina (FR).

La presunta casa di Pilato a Bisenti (TE)

La tradizione che vuole Bisenti (TE) quale patria di Ponzio Pilato è più articolata rispetto alle versioni riferite ad altri luoghi. Non si limita ad affermare che il prefetto sia nato a Bisenti, ma spiega i dettagli della sua origine bisentina. Secondo questa leggenda (che mescola fatti e personaggi storici a interpretazioni pseudo-storiche) un avo del celebre funzionario romano, Ponzio Aquila, avrebbe partecipato alla congiura delle idi di marzo contro Gaio Giulio Cesare. Con il ristabilirsi dell'ordine pubblico, le famiglie dei cesaricidi furono confinate presso varie città; tra queste i Ponzi furono esiliati in quel di Berethra (da alcuni identificata con Bisenti, forse dal greco Barathon, "valle stretta e profonda"). Nato e cresciuto in questa località, il futuro prefetto avrebbe avuto dunque la possibilità di conoscere le tradizioni ebraiche e apprendere una lingua straniera, l'aramaico. L'allora Berethra, infatti, sarebbe stata ubicata nel cuore di un territorio dell'area centro-adriatica conosciuto in antichità con la denominazione di "Palestina Piceni", in quanto colonizzato nel 600 a.C. circa da popolazioni provenienti dalla terra di Canaan[senza fonte]. Proprio la conoscenza del linguaggio e delle abitudini simil-giudaiche, apprese vivendo nella "Palestina Piceni", avrebbero avvantaggiato il giovane militare Ponzio Pilato nella nomina di V prefetto della Giudea. A Bisenti è visitabile il luogo che la tradizione indica come casa natale di Ponzio Pilato. L'edificio, anche se modificato e ristrutturato nel corso dei secoli, conserva ancora, nel suo impianto, le caratteristiche di una tipica domus romana. Sotto l'impluvium, è ancora perfettamente conservato un qanat, un sistema di distribuzione idrico molto diffuso nei territori mediorientali. Non si può dunque escludere che il qanat di Bisenti sia stato realizzato proprio da Ponzio Pilato che, avendone appreso la tecnologia costruttiva in Giudea, una volta tornato in patria avrebbe costruito un sistema idrico del genere per captare le acque da una falda, incanalarle mediante una galleria sotterranea per alcuni chilometri e prelevarle, per le proprie esigenze personali, da un pozzo situato all'interno della sua casa e, per le necessità degli altri concittadini berethriani, in una fonte di erogazione pubblica.

Sempre legata al territorio abruzzese, vi è l'ipotesi che lo fa discendere dalla famiglia vestina dei Ponzi, i cui membri avrebbero partecipato alla guerra sociale quali condottieri dell'esercito sannita[senza fonte]. Questa vecchia tradizione popolare è anche presente in un'opera minore di Ennio Flaiano. È anche riportata da Angelo Paratico in Gli assassini del Karma e da Giacomo Acerbo in Fra due plotoni di esecuzione.

La figura di Ponzio Pilato è legata a diverse tradizioni anche in provincia di Latina: l'isola di Ponza lega il suo nome a una leggenda che lo vuole esiliato qui, mentre i suoi natali sono rivendicati anche dalle antiche città di Cori e Cisterna di Latina. Notevole è anche la tradizione attestata ad Ameria (oggi Amelia) dove, oltre a essersi tramandata la leggenda del Palazzo di Pilato ed essere attestata la presenza di una villa romana in località monte Pelato (forse da Pilato), nel XVI secolo un'iscrizione ritrovata nei pressi della chiesa abbazia di San Secondo desta sicuramente una certa curiosità. Si parla infatti di un certo ['Pilatus/IIII VIR/QUINQ (UENNALIS) (CIL, XI 4396)]. Tale iscrizione avvalorerebbe quanto riportato nel Vangelo apocrifo degli Atti di Pilato, dove più volte viene citata la città di Ameria quale luogo di esilio e morte del governatore.

Circa la morte esistono diverse ipotesi: giustiziato dall'imperatore Caligola; suicida in Gallia dopo esservi stato esiliato; penitente e convertito al Cristianesimo per influenza della moglie Claudia Procula (canonizzata dalla Chiesa greco-ortodossa); morto a Vienne o presso Latina.[37]

Antoine de La Sale, scrittore e viaggiatore francese del XV secolo, riporta una leggenda raccolta durante un viaggio nell'Italia Centrale secondo cui Ponzio Pilato, riportato a Roma da Vespasiano, fu fatto uccidere e il suo cadavere trasportato, su un carro trainato da buoi, verso le pendici del Monte Vettore, nel massiccio dei Sibillini, per essere infine gettato nel lago che oggi porta il suo nome.

Influenza nella cultura e nella letteratura

Indipendentemente dal giudizio storico o religioso sulla sua figura, il ruolo centrale avuto da Pilato nelle vicende di Gesù Cristo (e di conseguenza nella nascita del cristianesimo) ne ha fatto uno dei personaggi più citati e utilizzati nella letteratura mondiale. La presenza del suo nome all'interno del Credo cristiano (patì sotto Ponzio Pilato), recitato da tutti i fedeli che partecipano alle celebrazioni eucaristiche in tutto il mondo, rende probabilmente Pilato il personaggio dell'antichità romana più nominato nei secoli. Inoltre Pilato è stato da alcuni identificato nella Divina Commedia di Dante Alighieri dalla perifrasi «Vidi e conobbi l'ombra di colui / Che fece per viltade il gran rifiuto»;[38][39][40][41] la stessa terzina potrebbe però identificare la figura di Papa Celestino V, che abdicò dopo solo cinque mesi al Soglio pontificio.

Nel racconto Il procuratore della Giudea (1902) dello scrittore francese Anatole France, un Ponzio Pilato vecchio e amareggiato rievoca con un commilitone i vecchi tempi del servizio in Palestina, la litigiosità e la ingovernabilità degli Ebrei, le azioni intraprese e le critiche ricevute, i riconoscimenti e le sanzioni a opera della burocrazia imperiale. Dell'episodio della condanna di un eversore a nome Gesù il Nazareno, pretesa e ottenuta dai maggiorenti locali, nessun ricordo.

Il breve romanzo Ponzio Pilato (1961) di Roger Caillois immagina l'arresto e il processo di Gesù Cristo dal punto di vista di Pilato, che qui è un funzionario imperiale di basso rango dal carattere debole, e un uomo sostanzialmente laico e razionale, incapace di capire ciò che gli appare come il fanatismo degli ebrei. La questione dell'arresto di Gesù gli appare inizialmente come una seccatura politica che rischia di provocare una rivolta, di rovinare le relazioni con l'élite sacerdotale ebraica e la sua reputazione presso i superiori. A Pilato viene consigliato di sacrificare Gesù come il modo più facile per uscire da questa situazione, ma egli esita perché sente che commetterebbe un'ingiustizia. Alla fine, dopo una notte di tormentose riflessioni, Pilato decide di avere la libertà di fare ciò che è giusto e libera Gesù, cambiando così tutta la successiva storia umana.

Il romanzo Il maestro e Margherita (1966-67) dello scrittore russo Michail Afanas'evič Bulgakov contiene un romanzo nel romanzo incentrato sull'incontro tra Pilato e Yeshua (il nome ebraico di Gesù). Nel romanzo di Bulgakov è infatti presente una riscrittura del processo a Gesù dei Vangeli. Nel finale (nel capitolo Il perdono e il rifugio eterno), Pilato guarda con occhi ciechi il disco della luna, condannato insieme al suo unico amico fedele guardiano, un cane scuro (... chi ama deve condividere la sorte dell'oggetto del suo amore),[42] a dormire da duemila anni in un luogo deserto, ma colpito dall'insonnia quando c'è la luna piena.

Friedrich Nietzsche loda Pilato come figura intellettuale aristocratica in un aforisma del saggio L'anticristo:

«Devo aggiungere che in tutto il Nuovo Testamento emerge appena una sola figura a cui si debba rendere onore? Pilato il governatore romano. Prendere sul serio un affare tra Ebrei – è qualcosa di cui non riesce a rendersi conto. Un ebreo di più o di meno – che importa? [...] La nobile ironia di un romano al cui cospetto vien fatto un abuso spudorato della parola "verità", ha arricchito il Nuovo Testamento dell'unica parola che abbia valore – che è la critica, l'annientamento stesso di quello: "che cos'è la verità"!»

Filmografia su Ponzio Pilato

Note

  1. ^ Il titolo portato da Pilato in qualità di governatore sembrerebbe essere stato (come riportato dall'iscrizione di Cesarea) "prefetto della Giudea" (praefectus Iudaeae). Il suo titolo è tuttavia riportato come procurator in Tacito e con l'equivalente greco "epitropos" (ἐπίτροπος) in Giuseppe Flavio e Filone. A partire dall'imperatore Claudio sono attestati dei procuratori come governatori della Giudea, il che potrebbe spiegare perché le fonti successive abbiano attribuito a Pilato questo titolo (oltre a una svista, si può tuttavia anche ipotizzare che Pilato abbia ricoperto cariche diverse nel corso del suo mandato decennale). I Vangeli usano un termine greco molto generico, "egemone/governatore" (ἡγεμών), termine applicato a Pilato anche da Giuseppe Flavio.
  2. ^ Lo storico e teologo John Dominic Crossan (John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 99, 116-117, ISBN 978-0-06-061480-5.), ex sacerdote cattolico e tra i cofondatori del Jesus Seminar, sottolinea come "decisamente la più significativa invenzione giovannea è il magistralmente bilanciato scenario nel quale Pilato corre avanti e indietro tra Gesù all'interno e le autorità ebraiche all'esterno durante il molto, molto più lungo [rispetto ai Sinottici] processo Romano" e "l'intera passione giovannea manca di verosimiglianza storica perché mostra Gesù in totale controllo durante l'arresto, il processo, la crocifissione e anche la sepoltura. Egli sta giudicando Pilato, non Pilato lui"; analogo il parere del teologo e sacerdote cattolico Raymond Brown (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 758-759, 860-861, ISBN 978-0-300-14009-5.): "dentro Gesù è sereno in modo sovrano riflettendo la sua convinzione [...] egli non tratta Pilato come un uguale, ancor meno come un superiore, piuttosto Gesù pronuncia degli oracoli che lasciano Pilato attonito [...] non ci può essere dubbio che questo è deliberatamente un tocco artistico, espandendo e riarrangiando che cosa arriva dalla tradizione", in quanto è usanza di "Giovanni aggiungere dialoghi, come Matteo aggiungere azioni, riflettenti le controversie teologiche tra cristiani e leaders Ebrei della sinagoga del tardo primo secolo".
  3. ^ Benché "secondo Marco, invece, avevano già mangiato la Pasqua la sera precedente!", come nota il biblista Bart Ehrman (Bart Ehrman, Il Nuovo Testamento, Carocci Editore, 2015, p. 89, ISBN 978-88-430-7821-9; Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, pp. 130-136, ISBN 978-88-430-8869-0. Cfr anche: John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 148, 174-178, ISBN 978-0-06-061480-5.).
  4. ^ Il teologo e sacerdote cattolico Raymond Brown (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 815-820, ISBN 978-0-300-14009-5.) ne rileva l'inverosimiglianza storica e l'assoluta mancanza di fonti: oltre alla mancanza di citazioni in Filone, anche "Flavio Giuseppe dà una lunga lista di concessioni romane sia imperiali che locali ai Giudei, iniziando con quelle di Giulio Cesare, ma nessuna di queste concessioni menziona il rilascio di un prigioniero a una festa [e] la letteratura talmudica dà quasi una descrizione ora per ora della Pasqua e non menziona mai questa usanza", aggiungendo inoltre come sia dubbio che "i governatori Romani potrebbero avere mai compromesso sé stessi con un'usanza che avrebbe richiesto loro di rilasciare un assassino al centro di una recente rivolta in una provincia tesa e instabile", "l'esistenza di varie amnistie e perdoni nelle diverse culture potrebbe avere reso l'idea di una regolare usanza di rilascio festiva plausibile per i narratori e chi ascoltava, che non avevano un'esatta conoscenza della Giudea dell'anno 30". Anche gli studiosi del cattolico "Nuovo Grande Commentario Biblico" rilevano come "non esistono testimonianze extrabibliche dell'usanza annuale di rilasciare un prigioniero in occasione della Pasqua. Forse un'amnistia occasionale è stata trasformata in una usanza, dagli evangelisti o dalle loro fonti" (Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 818, ISBN 88-399-0054-3.), mentre quelli dell'interconfessionale Bibbia TOB osservano come di tale usanza "non se ne ha conferma altrove" (Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, 1976, p. 120.) e il teologo Rudolf Bultmann afferma: "L'episodio di Barabba è ovviamente un'espansione leggendaria. Non c'è alcuna evidenza nella legge ebraica o Romana dell'usanza della quale riferisce Marco [la liberazione di un prigioniero a Pasqua]. L'usanza alla festa Romana della Lectisternia, alla quale Hugo Grotius si riferisce come analogia, non è rilevante, principalmente perché questa era concernente a un perdono di massa" (Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, p. 272, ISBN 1-56563-041-6.). Anche il teologo John Dominic Crossan (John Dominic Crossan, Gesù una biografia rivoluzionaria, Ponte alle Grazie, 1994, pp. 174-178, ISBN 88-7928-270-0.), ex sacerdote cattolico e tra i cofondatori del Jesus Seminar, rileva come questo "non sia assolutamente un racconto storico, e che sia più plausibilmente un'invenzione di Marco" e "il suo ritratto di un Ponzio Pilato mitemente acquiescente dinanzi alla folla urlante è esattamente l'opposto dell'immagine che ci siamo fatti di lui attraverso la descrizione di Giuseppe Flavio: la specialità di Pilato era il controllo brutale della folla. [Inoltre] qualcosa come la consuetudine di concedere in occasione della Pasqua un'amnistia generalizzata - liberazione di qualsiasi prigioniero venisse richiesta per acclamazione dalla folla - è contraria a ogni saggezza amministrativa" e "Filone, per esempio, che scrive circa un decennio dopo, descrisse ciò che i governatori decenti facevano per crocifiggere i criminali nelle occasioni festive. Essi potevano posporre la data dell'esecuzione in attesa della fine della festa, o potevano concedere alla famiglia del condannato la sepoltura, ma Filone non dice assolutamente nulla circa possibili abrogazioni della pena su richiesta".
  5. ^ Il teologo Raymond Brown (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 815-820, ISBN 978-0-300-14009-5.) evidenzia, infatti, che "i vangeli differiscono in merito alle origini della usanza del perdono, questo riguardava il governatore Romano secondo Marco/Matteo e gli Ebrei secondo Giovanni".
  6. ^ Lo stesso nome "Barabba" (bar 'abbā') significa in aramaico, lingua parlata nella Palestina del I secolo, "figlio del padre" e, in alcuni manoscritti del Vangelo secondo Matteo, viene chiamato «Gesù Barabba», quasi a volere sottolineare la colpa dei Giudei, spesso rimarcata dagli evangelisti, nella scelta sbagliata del "Gesù figlio del padre" (cfr: Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, pp. 818, 876, 937, ISBN 88-399-0054-3; Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, pp. 146-147, ISBN 978-88-430-8869-0; Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, 1976, p. 121.). Il teologo cattolico Raymond Brown ritiene che, presupponendone una qualche storicità, "il substrato storico dell'episodio di Barabba può essere stato relativamente semplice. Un uomo di nome Barabba fu arrestato dopo una sommossa che aveva causato alcuni morti in Gerusalemme. Alla fine egli fu rilasciato da Pilato quando una festa portò il governatore a Gerusalemme per supervisionare l'ordine pubblico. Presumibilmente questo accadde nello stesso periodo in cui Gesù fu crocifisso, oppure non lontano da esso, oppure in un'altra Pasqua. In qualunque caso, questo rilascio colpì i cristiani, vista l'ironia che si trattava dello stesso problema legale, sedizione contro l'autorità dell'Impero. [...] La tendenza dei narratori di contrapporre il rilascio di Barabba e la crocifissione di Gesù mettendoli insieme allo stesso momento di fronte alla giustizia di Pilato sarebbe stata accresciuta se entrambi avessero avuto lo stesso nome personale, Gesù"; "il reale peso della narrazione di Barabba è su un altro livello, cioè la verità che gli Evangelisti volevano trasmettere riguardo alla morte di Gesù. Per loro la condanna dell'innocente Gesù aveva un lato negativo, la scelta del male. La storia di Barabba, se pur con una base fattuale, fu drammatizzata per trasmettere questa verità" (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 815-820, ISBN 978-0-300-14009-5.). Anche il teologo cristiano John Dominic Crossan sottolinea che "Marco scriveva poco dopo la fine della terribile prima guerra giudaico-romana del 70 dopo Cristo quando Gerusalemme e il suo tempio erano stati totalmente distrutti. [...] Quella, dice Marco, era stata la scelta di Gerusalemme, essa aveva scelto Barabba invece che Gesù, un ribelle armato invece di un Salvatore privo di armi. La storia di Barabba era, in altre parole, una drammatizzazione simbolica del destino di Gerusalemme, come lui lo aveva visto" (John Dominic Crossan, Gesù una biografia rivoluzionaria, Ponte alle Grazie, 1994, p. 177, ISBN 88-7928-270-0.). Gli esegeti del cattolico "Nuovo Grande Commentario Biblico" osservano, inoltre, che "c'è quindi un contrasto tra Gesù Barabba e Gesù Cristo [...] È chiara l'ironia della scena. Di più: gridano perché venga rilasciato uno chiamato Barabba, «figlio del padre» e respingono colui che è veramente figlio del Padre" (Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, pp. 876, 937, ISBN 88-399-0054-3.).
  7. ^ Il teologo e sacerdote cattolico Raymond Brown precisa che sono "popolari quasi folkloristici temi per insegnare la lezione teologica che la giustizia di Dio non è derisa, ma interessa ogni parte coinvolta nello spargimento del sangue del figlio di Dio" e sono "una composizione di Matteo sulla base di una tradizione popolare riflettente sul tema del sangue innocente di Gesù e della responsabilità da esso creato. È della stessa derivazione e formazione degli episodi di Giuda e della moglie di Pilato. (Infatti io sospetto che la tradizione dietro alla storia dei Magi arrivi dagli stessi circoli giudaico cristiani)" (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 755, 831-836, ISBN 978-0-300-14009-5. Cfr anche: Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, p. 272, ISBN 1-56563-041-6; Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 876, ISBN 88-399-0054-3; Aldo Schiavone, Ponzio Pilato. Un enigma tra storia e memoria, Einaudi, 2016, ISBN 978-88-062-2836-1; Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 125-126, 290, ISBN 978-88-17-07429-2.).
  8. ^ Così il biblista Mauro Pesce. Analogo parere del teologo Raymond Brown e degli esegeti del cattolico "Nuovo Grande Commentario Biblico", che in merito evidenziano come "l'amaro, sgradevole carattere di questo versetto può essere solo capito come risultato della polemica contemporanea e alla luce della prospettiva storica di Matteo". (Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, p. 122, ISBN 978-88-17-07429-2; Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 833, ISBN 978-0-300-14009-5; Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 876, ISBN 88-399-0054-3.).
  9. ^ Il teologo e sacerdote cattolico Raymond Brown evidenzia, infatti, che "mentre l'intero Nuovo Testamento è stato mal usato in maniera antiebraica, questo testo, con tutta la gente che urla «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli», ha avuto un ruolo speciale. È stato trattato come se fosse una auto maledizione con la quale la gente ebraica attirò su sé stessa il sangue di Gesù per tutti i tempi successivi. [...] Questa è una di quelle frasi che sono state responsabili per oceani di sangue umano e un incessante flusso di miseria e desolazione"; aggiunge tale teologo come la stessa frase fu poi usata dai primi cristiani e dai Padri della Chiesa: "Origene andò drasticamente aldilà del giudizio di Matteo quando nel 240 dopo Cristo egli scrisse: «per questa ragione il sangue di Gesù ricade non solo su quelli che vissero al momento ma anche su tutte le generazioni di Giudei che seguirono, fino alla fine dei tempi». Sfortunatamente egli fu seguito nella sua valutazione da alcuni dei più grandi nomi della Cristianità". (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 831-832, ISBN 978-0-300-14009-5.).
  10. ^ Gli esegeti del cattolico "Nuovo Grande Commentario Biblico" (Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 876, ISBN 88-399-0054-3.) ritengono che "questo gesto durante un processo non è romano, è bensì una prassi dell'AT: Dt21,6-9; Sal26,6;73,13"; analoghe le conclusioni del teologo cristiano Rudolf Bultmann e dello storico Aldo Schiavone che osserva come "non si può credere a una sola parola di questo racconto", precisando anche come tale gesto doveva comunque essere compiuto dopo e non prima dell'uccisione della vittima (Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, p. 272, ISBN 1-56563-041-6; Aldo Schiavone, Ponzio Pilato. Un enigma tra storia e memoria, Einaudi, 2016, ISBN 978-88-062-2836-1.). Raymond Brown (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 836, ISBN 978-0-300-14009-5.) sottolinea, inoltre, che in merito al "tentativo di Pilato di evitare la responsabilità di emettere una sentenza su un uomo innocente, il rituale di lavarsi le mani di Deuteronomio 21 era efficace solo se gli anziani che lo facevano non avevano parte nell'omicidio, sia commettendolo, sia conoscendo chi l'aveva commesso. La responsabilità di Pilato può non essere la principale responsabilità, ma egli non poté lavarla via più di quanto Lady Macbeth poté lavare via la «macchia maledetta». Nella tragedia di William Shakespeare la «macchia maledetta» è quella che Lady Macbeth, sonnambula, quando inizia a sentire il peso del sangue e dei lutti che ha causato, cerca ossessivamente di lavare via dalle proprie mani.
  11. ^ Secondo, infatti, autorevoli studiosi cristiani, le versioni degli evangelisti furono: [in Luca] "anche se Pilato menziona la fustigatio, un castigo non troppo grave, Luca non dice mai che Gesù venne percosso o flagellato. Egli va verso la croce in pieno dominio della situazione" (Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 937, ISBN 88-399-0054-3.) e "nonostante l'omissione di Luca del castigo inferto a Gesù, forse per sua preferenza di non fare sottostare Gesù a una tale violenza fisica, la tradizione conteneva riferimento a una flagellazione di Gesù che Marco/Matteo e Giovanni usarono in modi differenti" (Raymond Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 851-853, ISBN 978-0-300-14009-5.), inoltre in Luca "questa pena non è legata alla sentenza capitale, a differenza di Mt27,26 e Mc15,15 (che impiegano il termine tecnico flagellare)" (Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, 1976, p. 280.); [in Giovanni]: "nell'arrangiamento altamente teologico del processo Romano in 7 episodi di Giovanni la flagellazione è parte di un episodio in metà [e] la sequenza in Giovanni19,1-5 implica che la flagellazione fu fatta dentro il pretorio, la sequenza in Marco15,15-16; Matteo27,26-27 implica che la flagellazione fu fatta fuori dal pretorio" (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 852-853, ISBN 978-0-300-14009-5.) e teologicamente Giovanni "considera senza dubbio gli eventi in un altro modo e suggerisce che si veda in Gesù l'uomo vero che, con questa stessa umiliazione, inaugura la regalità messianica" (Bibbia TOB, Nuovo Testamento Vol.3, Elle Di Ci Leumann, 1976, p. 351.); infine, "solo Marco/Matteo menzionano che Gesù fu flagellato alla fine del suo processo" e "Marco/Matteo hanno il più plausibile momento per la flagellazione, ovvero alla fine del processo Romano e dopo che Gesù è stato sentenziato, così che la flagellazione è parte della pena per la crocifissione" (Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 851, 871, ISBN 978-0-300-14009-5).

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  15. ^ Vedi la sezione "Storicità e attendibilità del processo" alla voce "Processo di Gesù". (cfr. per esempio: Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 556, ISBN 978-0-300-14009-5; John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 116-117, ISBN 978-0-06-061480-5; Rudolf Bultmann, History of the Synoptic Tradition, Hendrickson Publisher, 1963, p. 272, ISBN 1-56563-041-6; Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, pp. 131-135, ISBN 978-88-430-8869-0.).
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  18. ^ John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 148, 174-178, ISBN 978-0-06-061480-5.
  19. ^ Cfr, tra gli altri: Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, p. 753, ISBN 978-0-300-14009-5; Bart Ehrman, Prima dei vangeli, Carocci Editore, 2017, pp. 135-137, ISBN 978-88-430-8869-0; Adriana Destro e Mauro Pesce, La morte di Gesù, Rizzoli, 2014, pp. 78-79, ISBN 978-88-17-07429-2.
  20. ^ Vedi voce "Processo di Gesù" e cfr: Raymond E. Brown, The Death of the Messiah Vol. 1, Anchor Yale Bible, 2010, pp. 758-759, 860-861, ISBN 978-0-300-14009-5; John Dominic Crossan, Who killed Jesus?, HarperOne, 1995, pp. 99, 116-117, 148, ISBN 978-0-06-061480-5; Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 818, ISBN 88-399-0054-3.
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Bibliografia

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