La pietra focaia più usata era la pirite propriamente detta, e cioè bisolfuro di ferro monometrico (FeS2). Tale pietra è chiamata focaia perché se vivamente sfregata con l'acciarino produce scintille che possono incendiare un'esca o la polvere da sparo.
È di colore e splendore simile a quello dell'oro, dura e non soggetta a decomporsi in scaglie come altri minerali dalle caratteristiche analoghe.
Fu successivamente sostituita dalla selce che, pur avendo i difetti di dover essere opportunamente sagomata (tanto che esistevano artigiani in questo specializzati) e di spezzarsi più facilmente, produceva le scintille in un tempo minore aumentando la velocità di sparo e la facilità di colpire bersagli in movimento (era più breve infatti il tempo intercorrente tra la trazione del grilletto e la partenza del colpo).
La pietra focaia rimase in uso fino a quasi tutta la prima metà del XIX secolo.
Per produrre le scintille, la pietra focaia andava percossa con un acciarino in metallo, che nel Medioevo era detto focile.[2]
Per la sua capacità di produrre scintille da una pietra inerte, e quindi in un certo senso di liberarne lo spirito in essa contenuto, che era possibile poi diffondere nel mondo, al focile e alla pietra focaia erano attribuite proprietà magiche e alchemiche.[3] La pietra poteva così essere assimilata anche alla pietra filosofale:
«Il lapis ignis, la pietra focaia [...] è la premessa principale della fabbricazione dell'oro per la via alchemica. [...] L'alchimista, però, può fabbricare il lapis ignis solo dall'antimonio. Nessuno può ottenere l'oro dal nulla, ma solo per trasformazione del piombo.»
(Benjamin Seiler, Könner der hermetischen Kunst, pag. 3 e segg., in "ZeitenSchrift", n. 19, 1998[4])