Come vescovo si impegnò nella ricostruzione di edifici di culto parzialmente distrutti o bisognosi di restauri, tra cui l'antico seminario dei Santi Cirillo e Metodio a Prizren, e dell'edificazione di nuove chiese[1].
Durante il suo episcopato ha più volte denunciato le condizioni della popolazione serba del Kosovo: gli attacchi contro i monasteri e i cimiteri cristiani, le aggressioni verso i religiosi e l'esodo forzato oltre i confini kosovari. Nel 1989 fu egli stesso vittima di un'aggressione che lo costrinse in ospedale per tre mesi[2].
Si adoperò per migliorare le condizioni di vita misere di gran parte della popolazione della sua diocesi: come atto simbolico, dichiarò di rinunciare a possedere un'automobile come tutti gli altri vescovi, finché ogni cittadino kosovaro, sia serbo che albanese non ne avesse posseduta una[3].
Il suo ministero iniziò durante il periodo cruciale della disgregazione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia: Pavle, pur facendo restare la chiesa serba lontana dalle lotte politiche, rivolse diversi messaggi al popolo e alle autorità affinché i conflitti si risolvessero in modo pacifico, perché il processo democratico fosse riconosciuto e perché si creasse in Serbia uno Stato democratico.
Terminate le guerre tra il governo centrale di Belgrado e le repubbliche separatiste di Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Macedonia resesi via via indipendenti, la Repubblica Federale di Jugoslavia fu investita dal conflitto etnico nel Kosovo. Pavle che già da vescovo aveva denunciato la precaria situazione delle popolazioni cristiane in Kosovo decise di impegnarsi in prima persona per salvaguardare gli ultimi serbi rimasti a vivere nella provincia separatista. Nel 1999 spostò il patriarcato di Serbia da Belgrado in cui era stato trasferito negli anni trenta del XX secolo all'antica sede Peć[5] per essere vicino ai pochi fedeli ortodossi rimasti a sopravvivere, dopo gli ultimi esodi, in una regione a stragrande maggioranza etnica albanese.
Il 24 settembre 2000, nella Repubblica Federale di Jugoslavia si tennero le elezioni presidenziali. Il capo di Stato uscente Slobodan Milošević non volle riconoscere la vittoria del suo avversario Vojislav Koštunica: il patriarca Pavle prese posizione riconoscendo a nome della chiesa ortodossa Koštunica come presidente eletto. Anche a seguito di questo pronunciamento, Milošević decise di cedere il potere.
Il 27 aprile 2007, a seguito di un ricovero del patriarca in ospedale, il Sinodo ha dichiarato il metropolita di Zagabria guardiano del trono di San Sava facente funzioni patriarcali. Il 14 maggio Pavle è tornato a svolgere pienamente le proprie funzioni, ma il 13 novembre 2007 è stato nuovamente ricoverato: il 20 novembre il sinodo ha nominato il metropolita del MontenegroAmfilohije Radović nuovo guardiano del trono, senza sostituire, comunque, ufficialmente Pavle alla guida della Chiesa ortodossa serba.
Morì il 15 novembre 2009, all'età di 95 anni, nell'ospedale dove era ricoverato da ormai due anni per problemi di salute legati all'età.
Scritti
Dal 1972 al 1992 il patriarca Pavle ha pubblicato numerosi articoli accademici sulla Rivista del patriarcato serbo (Гласник Српске Патријаршије, Glasnik Srpske Patrijaršije), che hanno attirato l'attenzione di numerosi studiosi di discipline liturgiche, di storia medievale, bizantinistica, linguistica, filologia e storia dell'arte.
Nel 1984, sotto la sua direzione, è stata pubblicata la prima edizione del Nuovo Testamento in lingua serba corrente, stampata con l'approvazione del Patriarcato.
Come Presidente del Comitato Editoriale ha contribuito all'edizione di diverse monografie sui monumenti del Kosovo.