O tu qui servas armis ista moenia

Il cosiddetto Ritmo delle scolte modenesi (o Canto o Poema delle scolte modenesi), indicato anche tramite il primo verso (O tu qui servas armis ista moenia), è una composizione lirica latina anonima composta sul finire del X secolo per incoraggiare le sentinelle (scolte) che montavano di guardia sulle mura di Modena.

Il poema contiene interpolazioni posteriori (versi 11-16, 25-26, 30-34), ma la sua notazione musicale è sopravvissuta. Mostra una decisa influenza della poesia virgiliana, e della poesia classica in generale, ma è di particolare interesse per l'uso sapiente della metrica classica che si incontra con quella accentuativa, dato che il trimetro giambico equivale ad un quinario piano unito ad un senario sdrucciolo.

Il latinista britannico Peter Godman la definì di una "bellezza incantevole"[1].

Francesco Novati suggerì che la canzone sia stata scritta da un monaco all'interno della sua cella ascoltando l'eco delle cantilene delle guardie di ronda sulle mura[1]. Tale interpretazione romantica è stata superata[2]: circa alla stessa epoca della composizione di tale poema, le mura di Modena vennero rafforzate per la minaccia magiara, e negli stessi manoscritti contenenti il canto delle scolte sono conservate preghiere di supplica per la salvezza dalle razzie ungare[3].

Nel canto rientrano quindi la tradizione ecclesiastica delle veglie liturgiche (che è noto si tenessero a Modena all'epoca) e quella militare delle vigiliae murorum (sentinelle). Venne con ogni probabilità composto per l'uso durante le messe che precedevano l'invio degli uomini ai turni di guardia.

Il poeta invoca la benedizione di Cristo, della Vergine, e San Giovanni Evangelista, cui venne consacrata in città una cappella il 26 luglio 881, data che consente di collocare il poema in tale contesto storico[4]. La cappella di Santa Maria e San Giovanni si trovava accanto ad una porta cittadina, dove probabilmente le guardie si radunavano e si univano ai religiosi nel canto di tale inno[1].

Il poeta cita due episodi dell'antichità classica per incoraggiare le guardie: la Guerra di Troia, e come la città si salvò mentre Ettore montava di guardia; e le oche sacre del Campidoglio (riportate da Virgilio e Servio), che avevano difeso Roma dai Galli[5].

I versi 17–18 del canto ("Pro qua virtute facta est argentea / Et a Romanis adorata ut dea") sembrano essere un'invenzione dell'autore, basata sulla sua lettura di Servio - o piuttosto di Isidoro di Siviglia, che copiò e tramandò l'opera di Servio[6].

Testo

La versione tramandata del testo si trova nel Codice O.I.4 Isidori Mercatoris Decretalium Collectio (foglio 154v), conservato nella biblioteca Capitolare del Duomo di Modena.

(LA)

«O tu qui servas armis ista moenia,
noli dormire, moneo, sed vigila!
Dum Haector vigil extitit in Troia,
non eamm cepit fraudulenta Gretia.
Prima quiete dormiente Troia
laxavit Synon fallax claustra perfida.
Per funem lapsa ocultata agmina
invadunt urbem et incendunt Pergama.
Vigili voce avis anser candida
fugavit Gallos ex arce Romulea;
pro qua virtute facta est argentea
et a Romanis adorata ut dea.
Nos adoremus caelsa Christi numina:
illi canora demus nostra iubila,
illius magna fisi sub custodia,
haec vigilantes iubilemus carmina:
– Divina mundi, rex Christe, custodia,
sub tua serva haec castra vigilia.
Tu murus tuis sis inexpugnabilis,
sis inimicis hostis tu terribilis.
Te vigilante nulla nocet fortia,
qui cuncta fugas procul arma bellica.
Tu cinge nostra haec, Christe, munimina,
defendens ea tua forti lancea.
Sancta Maria, mater Christi splendida,
haec, cum Iohanne, teothocos, impetra,
quorum hic sancta venerantur pignora
et quibus ista sunt sacrata numina.
Quo duce, victrix est in bello dextera
et sine ipso nihil valent iacula. –

Fortis iuventus, virtus audax bellica,
vestra per muros audiantur carmina,
et sit in armis alterna vigilia,
ne fraus hostilis haec invadat moenia.
Resultet haecco comes: – eia, vigila! –,
per muros: – eia, – dicat haecco – vigila!»

(IT)

«Tu che in armi difendi codeste mura,
non dormire, bada, ma vigila!
Finché Ettore vigilò in Troia,
non poté espugnarla la fraudolenta Grecia.
Ma non appena Troia s’abbandonò al sonno,
Sinone l’ingannatore aprì il perfido nascondiglio.
Gli armati ivi nascosti, calati con una fune,
invadono la città e appiccano il fuoco a Pergamo.
Con la vigile voce la candida oca
respinse i Galli dalla rocca romulea,
e per la sua fedeltà le fu fatto un simulacro d’argento
e fu adorata dai Romani come dea.
Adoriamo noi l’eccelsa divinità di Cristo:
innalziamo a lui i nostri canti di giubilo,
sicuri sotto la sua possente custodia.
vigilando, effondiamo la nostra gioia in questi canti:
– O Cristo re e divino protettore del mondo,
prendi sotto la tua custodia questa città.
Sii tu ai tuoi fedeli un muro inespugnabile,
sii pei nemici un nemico terribile.
Se vigili tu nessuna forza può recarci danno,
tu che da lungi metti in fuga tutte le armi guerriere.
Cingi tu, Cristo, queste nostre fortificazioni,
difendendole colla forte tua lancia.
Santa Maria, splendente madre di Cristo,
ottieni [per noi] queste cose, Madre di Dio, e con te Giovanni,
voi di cui in questa città si venerano i sacri pegni
e a cui son consacrate queste immagini.
Sotto la guida di Cristo, la destra in guerra è invitta,
senza di lui a nulla servono i dardi.

Forte gioventù, prode e audace in guerra,
i tuoi canti si effondano per le mura.
E in armi a turno vegliate
onde la nemica frode non sorprenda queste mura.
Echeggi il grido che accompagna la guardia: eia, vigila! –,
e per le mura l’eco risponda: – eia, vigila![7]»

La pergamena del resto mostra aggiunte e correzioni: ad esempio dopo la parola "Romulea" si legge, scritto con differente mano:

«Eius clangore Marcus consul Manlius
Excitus primus vir bello egregius»

Due versi ai quali, sul fondo del foglio, lo stesso amanuense aggiunge:

«Umbone gallum iam in summo positum
Ictum in preceps deturbat miserrimum.
Avis haec vigil salus viri plurima
Capitolinis, sed Gallis nequissima.»

Alla stessa mano si deve del resto la parola "teothocos" (Madre di Dio), scritta sopra una rasura.

Infine, accanto alla riga 22, una terza mano scrive un richiamo a due fogli seguenti, sui quali si trovano alcuni versi inneggianti a San Geminiano e alla protezione dagli Ungari, versi scritti palesemente per farne un'aggiunta all'Inno delle scolte:

«Confessor Christi, pie Dei famule,
Geminiane, exorando supplica,
Ut hoc flagellum, quod meremur miseri,
Celorum regis evadamus gratia.
Nam doctus eras Attile temporibus
Portas pandendo liberare subditos.
Nunc te rogamus, licet servi pessimi,
Ab Ungerorum nos defendas jaculis.
Patroni summi exorate jugiter
Servis puris implorantes Dominum.[8]»

Approfondimenti

  • Giulio Bertoni, Il “ritmo delle scolte modenesi”, Modena, G. T. Vincenzi & Nipoti, 1909.
  • Il Canto delle scolte modenesi, Modena, Societa tipografica modenese, 1948.
  • Giuseppe Vecchi, Il Canto delle scolte modenesi: la notazione musicale, Modena, Societa tipografica modenese, 1950.
  • Filmato audio O Tu Qui Servas, su YouTube. URL consultato il 10 ottobre 2016.

Note

  1. ^ a b c Peter Godman (1985), Latin Poetry of the Carolingian Renaissance (Norman: University of Oklahoma Press), 71-72 (analysis), 324-327 (poem, with translation).
  2. ^ Neil Christie (2006), From Constantine to Charlemagne: An Archaeology of Italy, AD 300-800 (Ashgate Publishing, ISBN 1-85928-421-3), 163.
  3. ^ Il Tiraboschi lo mette in diretta relazione con l'assedio di Modena da parte degli ungari dell'agosto 899. Memorie storiche modenesi, Modena, Società Tipografica, 1793, pp. 67-68.
  4. ^ Godman e Roncaglia lo datano al IX secolo con inserimenti posteriori, mentre numerosi autori - tra cui Edelestand du Méril e Domenico Comparetti - lo collocano nel X secolo (924-34 circa), cf. J. J. Savage (1927), "The Song of the Soldiers of Modena," Speculum, 2:4, 475–76.
  5. ^ La tradizione delle Oche Sacre divenne quella riportata nel canto delle scolte grazie all'influenza di Servio, cf. Godman e Savage.
  6. ^ Savage, 477.
  7. ^ Antonio Viscardi (a cura di), Le origini: Testi latini, italiani, provenzali e franco-italiani, Milano-Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1956.
  8. ^ Giulio Bertoni, Relatio translationis corporis Sancti Geminiani - Appendice 1, in Giosuè Carducci, Vittorio Fiorini (a cura di), Rerum Italicarum Scriptores - Raccolta degli storici italiani, 6 parte I, Città di Castello, Casa Editrice S. Lapi, 1900, pp. 11-12.