Pindaro narra di come la dea Atena una volta inventato l'aulos gettò via lo strumento, infastidita del fatto che le deformasse le guance quando lo suonava.
Marsia lo raccolse, causando il disappunto di Atena, che lo percosse. Non appena Atena si fu allontanata, Marsia riprese lo strumento e iniziò a suonarlo con una tale grazia che tutto il popolo ne fu ammaliato, convincendosi che il suo talento fosse maggiore anche rispetto ad Apollo.
Marsia, orgoglioso, non li contraddisse, finché un giorno la sua fama arrivò proprio ad Apollo, che subito lo sfidò (secondo altre versioni fu lo stesso Marsia a sfidarlo). Al vincitore, decretato dalle Muse, giudici della tenzone, sarebbe stato concesso il diritto di far ciò che volesse del contendente.
Dopo la prima prova, però, le Muse assegnarono un pareggio che ad Apollo, ovviamente, non andò bene. Così il dio invitò Marsia a rovesciare il suo strumento e a suonare: Apollo, logicamente, riuscì a rovesciare la cetra e a suonarla, ma Marsia non poté fare altrettanto con il suo flauto e riconobbe Apollo vincitore (secondo un'altra versione Apollo propose per poter eleggere un vincitore di cantare e suonare contemporaneamente, così che solo lui, che aveva uno strumento a corde, ci sarebbe riuscito). Il dio, allora, decise di punire Marsia per la sua superbia (hýbris, in greco) e, legatolo a un albero, lo scorticò vivo.
«Rettulit exitium, satyri reminiscitur alter, Quem Tritoniaca Latous harundine victum Affecit poena. "Quid me mihi detrahis?" inquit; "A! piget, a! non est" clamabat "tibia tanti". Clamanti cutis est summos direpta per artus Nec quicquam nisi vulnus erat; cruor undique manat Detectique patent nervi trepidaeque sine ulla Pelle micant venae; salientia viscera possis Et perlucentes numerare in pectore fibras.»
(IT)
«Un altro si rammenta di quel satiro cui il figlio di Latona affisse una pena dopo averlo vinto col flauto Tritoniaco "Perché mi scortichi?" chiese; "Ahimè! mi pento!" gridava "un flauto non vale tanto!" Ma mentre egli disperava gli fu strappata la pelle dalle membra Nient'altro era che una ferita; ovunque promana il sangue, si scoprono i muscoli liberi e, rilasciate, senza pelle, pulsano le vene; potresti contare le viscere zampillanti e le fibre sanguigne.»
Nella parte finale del Simposio, Platone narra dell'elogio che Alcibiade fece a favore di Socrate paragonandolo a Marsia:
«Per fare l'elogio di Socrate, amici, ricorrerò a delle immagini. Son sicuro che lui penserà che voglia scherzare, e invece sono serissimo, perché voglio dire la verità. Io dichiaro dunque che Socrate è in tutto simile a quelle statuette dei sileni che si vedono nelle botteghe degli scultori, con in mano zampogne e flauti. Se si aprono, dentro si vede che c'è la statua di un dio. E aggiungo che ha tutta l'aria di Marsia, il satiro: eh sì, Socrate, gli somigli proprio, non vorrai negarlo! E non solo nell'aspetto!"»
Nello Pseudo-Apollodoro e in Erodoto
Lo Pseudo-Apollodoro narra che Apollo uccise anche Marsia, figlio di Olimpo e inventore della piva, rifiutata da Minerva perché rendeva deforme il volto di chi la usava. Marsia sfidò Apollo a una competizione musicale, il cui vincitore avrebbe potuto disporre liberamente della vita dell'altro. Apollo vinse la sfida mostrandosi capace di suonare la cetra alla rovescia, cosa che fu impossibile a Marsia con la piva. E in questo modo finì scorticato vivo da Apollo (Libro I, cap. 24, II[1][2]).
La stessa vicenda è ripresa nelle Storie di Erodoto[3] narrano che il Sileno Marsia era un satiro scorticato vivo da Apollo in una competizione musicale. La sua pelle fu messa pubblicamente in mostra ad Apamea di Frigia.