Secondo la linguistica comparativa, la lingua protoindoeuropea (o, ambiguamente, lingua indoeuropea) è la protolingua da cui discendono tutte le lingue indoeuropee. La ricostruzione plausibile di gran parte del vocabolario e della struttura grammaticale di questa lingua primordiale,[1] a partire dallo studio dei punti in comune e delle differenze sistematiche delle varie lingue indoeuropee, è considerato uno dei grandi traguardi raggiunti dalla linguistica dall'inizio del XIX secolo. La ricostruzione si basa principalmente sulle caratteristiche comuni delle forme grammaticali e sulle parole imparentate. Un numero elevato di queste parole indica una relazione se il vocabolario da confrontare proviene dal vocabolario di base.
Appartengono con certezza alla famiglia linguistica indoeuropea diverse sottofamiglie linguistiche (come branche che si dipartono dal tronco comune, il protoindoeuropeo) a loro volta differenziate in lingue e dialetti:[2]
Le diverse sottofamiglie dell'indoeuropeo sono poi per tradizione raggruppate in due grandi gruppi, divisi dalla cosiddetta isoglossa centum-satem, e distinti in base al trattamento delle consonanti gutturali. Le cosiddette lingue centum (dal latino centum, "cento") continuano le antiche gutturali palatali come velari, mentre le lingue satem (dall'avestico satəm, "cento") le mutano in consonanti fricative palatali e sibilanti.
Gli studiosi attribuiscono valore differente al fenomeno della satemizzazione, a seconda dei loro orientamenti. I fautori della cosiddetta teoria glottidale ritengono ad esempio più pertinente il trattamento delle ipotetiche consonanti glottidali che essi presumono tipiche del proto-indoeuropeo nella sua fase comune, e preferiscono perciò distinguere fra lingue taihun (dal gotico taihun, "dieci") che perdono la glottidalizzazione mutando le glottidali in consonanti sorde, e lingue decem (dal latino decem, "dieci"), che tramutano le glottidali in sonore.
Molte affinità lessicali fra le lingue indoeuropee saltano all'occhio, nonostante i mutamenti fonetici verificatisi. Altre sono decisamente controintuitive. Basterà qui fornire qualche esempio: [18]
Dal punto di vista tipologico, il proto-indoeuropeo nella fase tardo-unitaria era una lingua flessiva o fusiva, con un alto grado di sinteticità (quantità di morfemi per parola). La ricostruzione interna permette tuttavia di intravedere una fase di poco più remota, in cui la protolingua mostrava ancora in gran parte l'aspetto di una lingua agglutinante. Le tendenze che hanno determinato la trasformazione tipologica sembrano ancora in parte attive nella fase più arcaica di molte delle lingue figlie. Fra queste derive strutturali si notano in particolare:
Con il confronto tra le lingue di attestazione più antica e, in mancanza di queste, tra le lingue moderne, si giunge a ricostruire l'ipotetica lingua da cui esse sarebbero derivate. Di questa lingua si ricostruisce ovviamente tutta la grammatica, comprendente un sistema fonologico, morfologico, sintattico, lessicale, ecc.
Tenendo conto dell'attuale dibattito scientifico fra i linguisti, si ricostruisce oggi per l'indoeuropeo un sistema fonologico così articolato (i punti interrogativi indicano i fonemi la cui esistenza è maggiormente controversa):
ģ/ (?) (spesso ha assunto il suono sordo /ç/ (?))
Il sistema fonologico ricostruito appare però squilibrato per varie ragioni.
Si notano infatti, fra gli altri problemi:
In realtà un'interessante teoria proposta da Francisco Villar sostiene che l'indoeuropeo avesse quattro timbri originari: /α/, /e/, /i/, /u/. La /α/ si sarebbe caratterizzata per un'articolazione intermedia fra /a/ ed /o/.
La questione della rarità di *a ha indotto il linguista spagnolo Francisco Villar, sulla scorta delle proposte teoriche di Francisco Rodríguez Adrados a postulare per l'indoeuropeo più arcaico un sistema a quattro vocali (*a *e *i *u), con un'articolazione arrotondata della *a e un'articolazione medio-bassa della *e.
Più spinosi interrogativi sorgono dall'anomalia tipologica del sistema di occlusive. Una risposta possibile è fornita dalle proposte del linguista americano Paul J. Hopper e dai linguisti sovietici Tamaz Gamkrelidze e Vjačeslav Ivanov[senza fonte], secondo cui le consonanti indoeuropee che tradizionalmente si ricostruiscono come sonore avevano in origine un'articolazione glottidale (rara per le consonanti labiali, il che spiegherebbe fra l'altro la rarità di *b), mentre le consonanti sonore aspirate andrebbero concepite come semplici sonore; l'articolazione aspirata delle sorde e delle sonore sarebbe stata allofonica.
Nella presente voce si è deciso di seguire la ricostruzione tradizionale, che sembra rendere conto della maggior parte dei fenomeni.[senza fonte]
Fra le lingue indoeuropee le tipologie di accento sono molteplici:
La prosodia del protoindoeuropeo, per la maggior parte degli studiosi, è quella di una lingua con accento musicale (cioè percepito come un'elevazione di tono) in cui esiste una sistematica distinzione fra vocali lunghe e brevi, sebbene l'evoluzione linguistica abbia alterato la loro disposizione e diffusione originaria[20]. Alcuni studiosi, come ad es. Francisco Villar, ipotizzano che la distinzione fra vocali lunghe e brevi fosse propria solo di alcuni dialetti indoeuropei, e in particolare dell'indoeuropeo tardo, e pongono in secondo piano il problema della natura dell'accento[21]. Una teoria particolarmente articolata presenta Oswald Szémerenyi, che sulla base del confronto fra accento greco, vedico e lituano, postula, per il proto-indoeuropeo comune, un accento tritonale, con un tono ascendente (acuto o udātta), un tono discendente (circonflesso) e un tono grave[22]. Un elemento certo dell'accento indoeuropeo è la sua assoluta libertà[23]. L'assenza delle cadute di vocali e dei fenomeni di alterazione collegati all'accento intensivo, fa ipotizzare con relativa sicurezza che la protolingua avesse un accento musicale, probabilmente con un unico tono, quello acuto[24].
Alcuni fenomeni fonetici di interesse morfologico (morfo-fonologici) accomunano tutte le lingue indoeuropee:
Dal punto di vista tipologico, l'indoeuropeo tardo ricostruito è una lingua flessiva o fusiva, con un alto grado di sinteticità (come il vedico, il greco, il latino, il tedesco, il russo). Ciò vuol dire che nella protolingua più funzioni morfologiche si addensano nello stesso morfema. Si è già detto però che gli indizi derivanti dalla ricostruzione interna inducono i linguisti a ipotizzare che in una fase molto remota della sua storia, l'indoeuropeo avesse una struttura di lingua agglutinante (con ogni morfema usato a indicare una e una sola funzione morfologica, come accade oggi in turco o in finlandese).
La comparazione sistematica delle morfologie delle antiche lingue indoeuropee permette ai linguisti di ricostituire in maniera abbastanza attendibile l'identikit della flessione del nome, dell'aggettivo, del pronome e del verbo indoeuropei.
Le parti del discorso ricostruibili per l'indoeuropeo non coincidono in tutto e per tutto con la situazione delle lingue figlie:
La morfologia del nome e dell'aggettivo, nelle lingue indoeuropee, mostra una flessione sistematica secondo la nozione del caso grammaticale e del numero, e una flessione semi-sistematica secondo il genere. Al di là di questo tratto comune, le antiche lingue indoeuropee mostrano un ampio ventaglio di varianti: dai dieci casi del tocario, ai cinque casi del greco. I dati linguistici sembrano comprovare che lingue con un minor numero di casi ne avevano di più in fasi precedenti della loro evoluzione (ad es. il dialetto miceneo, variante di greco della tarda età del bronzo, ha sei casi). D'altro canto i dieci casi del tocario, e i nove dell'antico ittita sembrano essere il risultato di influssi di vicine lingue non indoeuropee (pressioni di adstrato). Si ritiene per lo più che la situazione originaria si sia conservata nelle lingue indo-arie, e si suppone che come queste ultime, la protolingua avesse otto casi:
L'indoeuropeo conosceva tre generi: il maschile e il femminile e il neutro (quest'ultimo indicante la categoria dell'inanimato); si ricostruiscono, anche se oggi più problematicamente che in passato, tre numeri: il singolare, il plurale e il duale (quest'ultimo per indicare le coppie di enti animati e inanimati). Non è implausibile che nell'indoeuropeo i casi fossero ben distinti solo al singolare, o in altre parole, che essi mancassero del tutto di determinazione quanto al numero.
La declinazione nominale e aggettivale conosceva, nelle lingue indoeuropee, due varianti:
Qui di seguito forniremo in tabella le sole desinenze generali:
Per lo strumentale singolare sono attestati altri allomorfi, verosimilmente varianti diacoriche: in particolare, -*bhi (cfr. greco omerico îphi "con forza", derivante da un wî-phi miceneo), e *-mi (in genere le desinenze di strumentale, dativo e ablativo con elemento *-m- prendono il sopravvento su quelle con elemento *-bh- nelle aree baltica, slava e germanica).
La presenza di un aggettivo sistematicamente identificato come parte del discorso vòlta a contrassegnare sul piano sintattico l'attributo e determinate forme del complemento predicativo sembra essere un tratto peculiare della morfo-sintassi della famiglia linguistica indoeuropea. In diverse lingue dell'area mediterranea non indoeuropea (come ad esempio, nelle lingue semitiche), gli aggettivi sono spesso assenti, in quanto sostituiti da formazioni verbali o da costruzioni con sostantivi.
Gli aggettivi indoeuropei si conformavano in tutto e per tutto alla flessione del nome: si declinavano infatti per genere, numero e caso, come del resto accade nelle lingue classiche, in vedico, in tedesco e nelle lingue slave (che però hanno diffusamente innovato). Come per i nomi, così per gli aggettivi si distingueva una flessione tematica e una atematica.
L'aggettivo indoeuropeo formava i gradi di comparazione tramite inserzione di suffissi appositi nella radice:
Qui di séguito alcuni esempi di aggettivi:
aggettivi tematici:
aggettivi atematici:
Sono aggettivi atematici con tema in -nt i participi attivi, di cui si registra il paradigma sotto la flessione verbale.
Una struttura a sé mostrano gli aggettivi numerali, che costituiscono uno degli aspetti più solidi della grammatica ricostruita dell'indoeuropeo.
Qui di seguito una ricostruzione dei numerali cardinali da uno a cento in indoeuropeo, in base alle ricostruzioni presenti nell'Introduzione alla linguistica comparativa di O. Szémerenyii, modificate parzialmente in base a un approccio laringalistico:
*sems, *smiH2, *sem 1; *ojos *ojaH2 *ojom, *oinos *oinaH2 *oinom, *oikos *oikaH2 *oikom (varianti per "unico, solo");
*d(u)wō 2; *(am)bhoH3 "entrambi";
*trej-es; *trisres *trih2 3;
*kwettwor-es *kwettusres *kwettwor 4;
*pénkwe 5;
*(s)weks 6;
*septm 7;
*H3oktoH3 8;
*(H1)newn 9;
*dékm(t) 10;
*(d)wihkomt 20;
*trihkomt 30;
*kwettwrkomt 40;
*penkwekomt 50;
*(s)wekskomt 60;
*septmkomt 70;
*H3okteH3komt 80;
*H2newnkomt 90;
*kmtòm 100.
Per le centinaia è possibile che l'indoeuropeo, come il vedico, ricorresse a tre dinamiche di formazione:
1. la creazione di un sostantivo neutro a partire da *kmtòm (dinamica presente anche in gotico): esempio *triH2 *kmtaH2 *gwowòm "tre centinaia di vacche" seguito, come si può vedere, da un genitivo partitivo;
2. la creazione di un aggettivo composto: esempio *trkmtōs *trkmtaH2s *trkmtaH2 (come in vedico, greco e latino e nella maggior parte delle lingue indoeuropee);
3. la creazione di un composto usato come collettivo e seguito dal genitivo partitivo, esempio *trkmtom gwowòm (come in vedico e in latino arcaico).
Non esiste una formazione univocamente ricostruibile per il numerale 1000. Tuttavia la maggior parte degli studiosi ritiene plausibile che:
1. il sanscrito sahasram, l'avestico hazahra-, il greco antico χείλιοι, il latino mille da *mi-hi-li (dove mi < *smi-H2, femminile di *sem-), risalgano a locuzioni come *sem (*sm-) *gheslo-m o *smiH2 *ghesliH2;
2. il germanico, il baltico e lo slavo abbiano innovato, creando una nuova forma a partire dal participiale *tūsntiH2 "abbondante".
Gli aggettivi numerali ordinali venivano formati per lo più con l'inserzione dei suffissi *-o-, *-to-, *-mo-
Il pronome indoeuropeo seguiva anch'esso una flessione per genere numero e caso. Per l'indoeuropeo i linguisti ricostruiscono con certezza i pronomi di prima e seconda persona singolare (*H1egH-om, *em-, *m-,"io" e *tou "tu"), nonché il pronome riflessivo *sw-, riconducibile a una radice dal significato originario di "famiglia, genere".
Accanto a questi due pronomi, sono oggetto di ricostruzione abbastanza univoca i temi pronominali dimostrativi *so- *to- (con significato cataforico) e *i- (*ei-) (con significato anaforico). Questi temi pronominali costituiscono rispettivamente la declinazione dei dimostrativi so saH2 tod e is iH2 id. Da questi temi pronominali si sono ricavati, nelle lingue figlie, pronomi indefiniti e relativi.
Sufficiente attendibilità fornisce anche la ricostruzione del pronome interrogativo-indefinito *kwis kwid ("qualcuno, qualcosa, chi?, che cosa?").
Erano attestati largamente nella protolingua anche i pronomi e aggettivi indefiniti *aljos ("altro", fra molti) e *e-tero-, al-tero- ("altro", fra due).
Non esisteva in indoeuropeo un vero e proprio pronome relativo, a cui probabilmente sopperiva un uso correlativo dell'anaforico *is e dell'indefinito kwis, situazione che è alla base dei differenti sviluppi del ramo italo-celtico (che privilegiò *kwis) da un lato, e del ramo greco-indo-iranico (che privilegiò il tema pronominale *i-) dall'altro.
Il verbo indoeuropeo si coniugava in base alle categorie di persona e numero, ed era ovviamente articolato in modi e tempi; a differenza del verbo delle lingue semitiche, non era sessuato (maschio/femmina), se non nelle forme aggettivali (participio, aggettivo verbale). Aveva inoltre una coniugazione sintetica (con desinenze proprie) per la diatesi del medio-passivo. Queste caratteristiche strutturali distintive sono ampiamente attestate nelle antiche lingue indoeuropee sin dal loro stadio più arcaico, e devono pertanto ritenersi proprie della stessa protolingua ricostruita.
In concreto, la morfologia verbale dell'indoeuropeo, quale viene ricostruita dai linguisti, presenta le seguenti caratteristiche generali:
Qui di séguito, in tabella, lo schema delle desinenze generali del verbo indoeuropeo tematico e atematico:
L'indoeuropeo, come le più antiche lingue flessive che ne derivano, sembra essere stato una lingua con ordine sintattico OV (tendenza dell'oggetto a precedere il verbo transitivo nella frase non marcata).
Alcune coincidenze significative fra le diverse forme di poesia epica e lirica delle antiche culture di lingua indoeuropea permettono di ricostruire, in modo approssimativo, il panorama del patrimonio poetico (metrica e stilistica) comune alle tribù indoeuropee nella loro tarda fase unitaria[25].
L'attribuzione al proto-indoeuropeo di un accento musicale e di un'opposizione fonemica fra sillabe lunghe e brevi ha una conseguenza precisa sulla metrica della protolingua, che dovette essere di natura quantitativa, cioè basata sulla durata, o quantità della sillaba, secondo quanto stabilito già da Antoine Meillet[26], il quale afferma con chiarezza che l'unità di base del ritmo del verso proto-indoeuropeo, esattamente come in greco e in vedico, era la sillaba, essendo ogni parola indoeuropea costituita di sillabe lunghe e brevi[27].
Il greco e il vedico rivestono particolare importanza nella ricostruzione della metrica indoeuropea per una serie di ragioni:
Oltretutto, come osservato a suo tempo da Marcello Durante, il greco e le lingue indo-arie sembrano oggettivamente possedere un patrimonio culturale comune, che ha influito a largo raggio in tutta l'area occupata dalle tribù indoeuropee nella fase tardo-unitaria (fenomeno della solidarietà greco-indoiranica)[29].
Il panorama delle metriche delle antiche lingue indoeuropee risulta in apparenza assai vario. Ad esempio:
Da questa variegata gamma di situazioni emergono due fenomeni salienti:
La conseguenza di queste semplici osservazioni porta a dedurre che il verso indoeuropeo aveva alcuni caratteri definiti:
Da quanto abbiamo detto sulle formule più ricorrenti della poesia indoeuropea, "gloria immortale" e "sacra potenza", si può dedurre una constatazione abbastanza semplice: la società tardo-indoeuropea kurganica esprimeva una poesia di carattere epico, che già riconosceva, come suo valore primario, la ricerca della gloria in quanto unica possibile forma di eternità concessa all'uomo. Ne consegue che il poeta, fra gli indoeuropei, aveva probabilmente un ruolo particolare. Ne rendono testimonianza il ruolo che agli aedi attribuisce la poesia omerica, così come l'articolata complessità di figure di poeti conosciute dal mondo indo-ario.
Sul piano delle tematiche dell'ipotetica poesia indoeuropea, è verosimile l'idea che in essa fossero già presenti alcuni nuclei narrativi ricorrenti delle epiche indoeuropee storicamente note, e alcuni miti cosmogonici che gli indoeuropei, come del resto i semiti e altre popolazioni dell'Eurasia, avevano ereditato dalle più antiche culture del neolitico sin dall'epoca dell'invenzione e dell'assimilazione delle tecnologie legate alla pratica dell'agricoltura. Temi come il ritirarsi dell'eroe offeso, che reca disgrazia alla comunità, o il ritorno dell'eroe, che ristabilisce una situazione di equilibrio, o archetipi narrativi come il compianto dell'amico dell'eroe (che si ritrovano per altro anche in epiche non indoeuropee) devono risalire a una fase molto remota.
Lo studio dell'Indoeuropeo come protolingua ha permesso agli studiosi di collocare nel tempo e nello spazio l'ipotetica protocultura comune alle varie tribù che parlavano dialetti indoeuropei. Allo stadio attuale degli studi la maggior parte degli indoeuropeisti, secondo l'ipotesi kurganica basata sulle indagini archeologiche di Marija Gimbutas, tende a porre l'Urheimat, o patria originaria, degli Indoeuropei, nella zona compresa fra i Monti Urali e il Mar Nero, e a indicare nella prima età del bronzo (5000 a.C.) il momento della preistoria dell'Eurasia in cui si definisce l'identità originaria degli Indoeuropei, la cui civiltà è per lo più identificata con la cultura kurgan, le grandi sepolture a tumulo diffuse fra il basso Danubio e le pendici del Caucaso. Secondo questa teoria, tendenzialmente maggioritaria, gli Indoeuropei si sarebbero poi diffusi in varie ondate, con migrazioni semi-violente o vere e proprie invasioni, sovrapponendosi alle più antiche società neolitiche grazie a tre innovazioni tecnologiche: le armi di bronzo, la ruota a raggi e la domesticazione del cavallo.
Teorie alternative rintracciano il punto di irradiazione degli indoeuropei in altre zone:
Oltre al tentativo di identificare la Urheimat, gli archeologi e i linguisti (fra cui spiccano, in Italia, Enrico Campanile, Paolo Ramat e Anna Giacalone Ramat) hanno cercato di ricostruire, per quanto possibile, i tratti comuni alla civiltà indoeuropea. Il lessico della protolingua e le somiglianze antropologiche delle varie tribù permettono di individuare con sufficiente sicurezza alcuni aspetti originari comuni:
Studi completi e approfonditi della religiosità e dei miti degli Indoeuropei, nonché della loro struttura narrativa sono stati recentemente messi a punto da Calvert Watkins e Martin Litchfield West.
Sebbene la teoria esposta sia generalmente accettata nella comunità scientifica, da più parti ed in più momenti sono state avanzate critiche o riformulazioni in contesti più vasti della teoria dell'Indoeuropeo.
Secondo Vittore Pisani, l'ultima fase della comunità indoeuropea deve essere interpretata come lega linguistica, in cui si distingue chiaramente la componente fondamentale del protosanscrito.
Sebbene un simile punto di vista abbia aspetti di plausibilità, si comprende bene che questa proposta non fa che spostare la questione dall'Indoeuropeo al "protosanscrito" (secondo Pisani). In tale prospettiva alcune somiglianze tra le lingue indoeuropee si potrebbero in parte spiegare anche come contatti secondari, ossia condivisioni di tratti linguistici tra lingue geograficamente vicine. È chiaro che in tal caso alcuni dei tratti che normalmente si fanno risalire ad un proto-indoeuropeo potrebbero invece risultare miraggi di ricostruzione, essendosi diffusi in alcune lingue della lega linguistica in un'epoca in cui queste erano differenziate e separate. Naturalmente questa interpretazione può spiegare alcuni aspetti, ma risulta essenzialmente limitata dalla semplice constatazione che normalmente solo il lessico viene scambiato con una certa facilità, mentre più difficilmente lo stesso accade con gli elementi morfologici.
Oggi l'ipotesi della lega linguistica è abbandonata dalla più parte degli studiosi, i quali sono convinti che l'indoeuropeo, specie nelle fasi più tarde, si presentasse come un diasistema, cioè un insieme di dialetti caratterizzati da intelligibilità reciproca, ma ricco di varianti locali (un po' come i dialetti delle varie aree linguistiche neolatine).
Si deve ricordare uno studio apprezzabile da un punto di vista archeologico e cronologico che si basa sulle parentele tra le famiglie linguistiche del Vecchio Mondo, portato avanti dalle teorie rivali della superfamiglia Nostratica e della superfamiglia Eurasiatica.
Nella prospettiva di tali teorie, l'Indoeuropeo (forse insieme all'Ugrofinnico) si sarebbe staccato dal corpo principale della superfamiglia (Nostratica o Euroasiatica, a seconda della teoria) in un momento che alcune teorie fanno risalire alla fine del Neolitico (Colin Renfrew), altre invece al Paleolitico superiore, probabilmente prima della glaciazione Würm (Mario Alinei, Franco Cavazza e assertori delle teorie della continuità paleolitica).
Alla remota fase del distacco dal nostratico (o dall'eurasiatico), qualunque datazione si proponga per essa, si dovrebbero far risalire le più antiche e genuine somiglianze tra Indoeuropeo, nella sua interezza, e le famiglie sorelle, non escludendo naturalmente fenomeni successivi di convergenza linguistica (quali i prestiti).
Nell'ottica di alcune di queste ipotesi, quindi, viene in parte ridiscussa l'ipotesi dell'Urheimat così come delineata finora.
Può essere utile, al fine di cercare di comprendere la complessità del problema delle somiglianze tra Indoeuropeo e altre famiglie linguistiche, avere una panoramica delle ipotesi, più o meno ragionevoli, proposte in letteratura.
Sempre nella prospettiva della superfamiglia preistorica, non si può non osservare che l'Ugro-Finnico è, tra le altre famiglie linguistiche, quella che sembra presentare il maggior numero di somiglianze sistematiche con l'Indoeuropeo: di qui l'ipotesi dell'Indo-uralico di Björn Collinder e Holger Pedersen, antesignana del Nostratico.
Si vuole ricordare anche il tentativo di Pedersen, Bruno Meriggi e Luigi Heilmann con l'ipotesi dell'Indo-Semita, dove la macro-famiglia verrebbe formata dall'Indoeuropeo e dal solo ramo semitico dell'Afro-asiatico. Tentativi simili furono proposti precedentemente da Hermann Möller (appoggiandosi anche all'ipotetica presenza delle laringali), Albert Cuny, e indipendentemente da Ascoli.
In qualche modo affine alla proposta dell'Indo-Uralico (e non del tutto incompatibile con essa), è la proposta del doppio strato per l'antico Indoeuropeo, con la quale si proponeva l'Indoeuropeo come frutto di un'antica creolizzazione tra una lingua ugrofinnica e una lingua di tipo Caucasico Settentrionale, il che spiegherebbe, tra l'altro, l'apparente ergatività dell'antico Indoeuropeo (ipotesi di Uhlenbeck, 1935). Un'ipotesi affine è stata recentemente riproposta da F. Kortlandt.
Analoghe proposte furono avanzate anche da Trubeckoj e Tovar, che considerarono la possibilità di includervi anche contributi semitici.
Infine diversi sono stati i tentativi, più o meno apprezzabili, di collegare l'Indoeuropeo con:
Come si può notare, le teorie sull'origine dell'indoeuropeo e sulla sua ricostruzione ed evoluzione costituiscono un capitolo assai complesso della storia degli studi linguistici. L'inventario fonetico e i paradigmi qui presentati, conformi come sono a una ricostruzione tradizionale e "neogrammatica" in parte riveduta e ampliata, non riscuotono essi stessi un consenso unanime presso tutti i linguisti.
Di fronte a questo mare magnum di ipotesi e constatazioni di somiglianze più o meno fondate, si capisce facilmente come, in linguistica, ci sia stata la volontà di perfezionare la strumentazione analitica allo scopo di poter fornire un quadro complessivo il più possibile coerente con i dati.
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