Carta linguistica del Sud Italia nell'eta del ferro. Legenda: I8=lingua osca, I7=dialetti sabellici, I6=volsco, I9=siculo, IE2=messapico, G1-G2-G3=greco, N2=etrusco, N6=elimo, N7=sicano, color ocra=fenicio.
L'osco era una lingua indoeuropea (appartenente alla famiglia osco-umbra) in uso presso gli Osci, nome con cui si intendeva un insieme alquanto eterogeneo di popoli italici. L'area di diffusione della lingua osca comprendeva, in epoca preromana, una larga parte dell'Italia meridionale.
L'osco mostrava molti aspetti in comune con il latino, benché vi fossero anche vistose differenze e molti gruppi di parole comuni in latino erano assenti e rappresentati da forme interamente differenti. Per esempio, il verbo latino volo, vis, volui, velle, e altre forme simili provenienti dalla radice del proto-indoeuropeo *wel- ('volere') erano rappresentati da parole derivate da *gher- ('desiderare'): l'osco herest ('desidererà, vorrà') in contrasto con il latino vult. Il latino locus (luogo, posto) era assente e rappresentato forse da slaagid, hapax presente nel Cippus Abellanus variamente etimologizzato e recentemente ricondotto a un toponimo sovrapponibile all'antica forma osca[5].
La fonologia osca ha anche evidenziato differenze dal latino: in osco 'p' al posto del 'qu' latino (osco pis, latino quis); 'b' al posto della 'v' latina; 'f' mediale invece della 'b' e della 'd' (osco mefiai, latino mediae).
Considerato il più conservatore di tutte le lingue italiche conosciute, l'osco rivaleggia solo con il greco nel mantenere intatto il sistema ereditato di vocale + i dittonghi.
Permangono ancora iscrizioni in caratteri greci, etruschi e latini in Campania. Iscrizioni osche si possono ancora riconoscere su alcune facciate di case ed edifici di Pompei, dove in epoca romano-repubblicana veniva ancora parlato l'osco.
Molte parole dialettali utilizzate nelle varie zone dell'Italia centro-meridionale presentano elementi di sostrato di derivazione osca.
Scrittura
L'osco era scritto con l'alfabeto latino, quello greco e anche con un alfabeto proprio.
Di seguito l'alfabeto osco originale, con la sua traslitterazione:
𐌀
𐌁
𐌂
𐌃
𐌄
𐌅
𐌆
𐌇
𐌉
𐌊
𐌋
𐌌
𐌍
𐌐
𐌓
𐌔
𐌕
𐌖
𐌚
𐌝
𐌞
a
b
g
d
e
v
z
h
i
k
l
m
n
p
r
s
t
u
f
í
ú
La z è pronunciata [t͡s]. Le lettere ú e í sono derivate graficamente da u e i e non appaiono nei testi più antichi. La ú rappresenta il suono [o], e í è una [ẹ] chiusa. Vocali doppie sono usate per indicare suoni lunghi; l'eccezione è la i lunga che è scritta ií.[senza fonte]
A volte, come già visto, l'osco è scritto con gli alfabeti latino o greco.
Se è scritto in latino allora la z non rappresenta [t͡s] ma invece [z], che non è scritta differentemente da [s] nell'alfabeto osco.
Se è usato l'alfabeto greco, esso è identico a quello normale, con l'aggiunta di heta per il suono corrispondente a h (ovvero [h] o [x]) e un'altra lettera per il suono indicato nell'alfabeto osco dalla v. Le lettere η e ω non indicano la quantità. A volte i gruppi ηι e ωϝ indicano i dittonghi /ei/ e /ou/ mentre ει e oυ sono usati per indicare i monotonghi /í/ e /uu/ nell'alfabeto osco. Altre volte ει e oυ sono usati per indicare dittonghi, nel qual caso o indica il suono /uu/.[senza fonte]
Relazione tra osco e greco
Esisteva una significativa relazione tra la lingua osca e il greco nell'Italia meridionale in epoca preromana. Tale relazione è esplorata attraverso l'analisi della documentazione epigrafica in lingua osca e alfabeto greco restituita da siti e comunità della Lucania, del Bruzio e dalla Messana mamertina.[6]
L'evidenza epigrafica testimonia la diffusa pluralità linguistica propria dei comparti regionali meridionali dell'Italia antica ed è in grado di restituire uno spaccato storico-politico e sociale della quotidianità formale e informale delle comunità, della loro composizione etnica e delle relazioni interne ed esterne dei rispettivi abitanti.[6]
Vengono analizzate in dettaglio le diverse categorie di testi osco-greci, tra cui dediche alle divinità, defixiones, documenti giuridici, iscrizioni pubbliche e private. Ad esempio, nelle dediche votive emerge una struttura testuale in cui il teonimo, generalmente al genitivo, è isolato nella parte finale, un aspetto che potrebbe considerarsi un'innovazione osca meridionale rispetto ai formulari greci e oschi centro-settentrionali. Le defixiones osco-greche mostrano invece una notevole influenza delle pratiche defissorie greche, siceliotee italiote, sulla mentalità, il linguaggio e la prassi osca.[6]
Nel complesso, emergono tracce di interazione linguistica tra greco e osco, il cui grado e qualità variano in base ai generi testuali, in prospettiva sincronica, diacronica e territoriale. Sono effettuate anche comparazioni con altre realtà pluri- o bilingui dell'Italia antica, come quella campano-sannitica, le comunità italiote e siceliote, evidenziando punti di contatto e divergenza nell'elaborazione dei rispettivi linguaggi epigrafici.[6]
Grammatica
La struttura morfologica dell'osco è quella tipica delle lingue indoeuropee e pertanto molto simile a quella latina. L'osco presenta sei casi (il caso vocativo non è attestato), due numeri e cinque declinazioni. La morfologia verbale è anch'essa simile a quella latina: tre modi, cinque tempi (il piuccheperfetto non è attestato), cinque modi verbali indefiniti, due diatesi e quattro coniugazioni.[7].
Sostantivi
Prima declinazione
La differenze tra osco e latino, nei riguardi della prima declinazione, sono: la desinenza -ad dell'ablativo singolare per il primo contro l'uscita in -ā del latino classico, ma in concordanza col latino arcaico (puellād); l'uscita in -as per il genitivo singolare, soppiantata nel latino classico da -ae, ma presente in forme più arcaicizzanti (pater familiās); la conservazione della s intervocalica nel genitivo plurale, anch'essa in comune col latino arcaico (puellāsom).
Le principali differenze col latino sono: la caduta della desinenza -os latina nel nominativo singolare (-us per il latino classico) e l'uscita in -ús nel plurale contro quella in -oī del latino (-i nel latino classico); la desinenza -eís del genitivo sul calco della terza declinazione, contro l'uscita in -oī del latino arcaico[7]; la desinenza -oī del latino arcaico è resa con -úí (da leggersi oi) per quanto riguarda il caso dativo; il locativo ha la conservazione della desinenza -eí in opposizione ad -i o -oi latine; per i casi accusativo e ablativo valgono le stesse considerazioni della prima coniugazione.
Come nel latino anche nell'osco i sostantivi di tale declinazione si suddividono in gruppi: consonantico e vocalico. La più evidente singolarità è la desinenza in -uf del nominativo singolare nel tema consonantico nasale.
^L. R. Palmer, The Latin language, London, 1961, p. 5
^Alberto Manco, Sull'osco *sl(a)gi-, Napoli, UNO, 2006 (Università degli studi di Napoli "L'Orientale". AIΩN sezione Linguistica, 28), pp. 273-275.
^abcd Katherine McDonald, Oscan in Southern Italy and Sicily: Evaluating Language Contact in a Fragmentary Corpus, Cambridge University Press, 2015, pp. XIX, 306, ISBN978-1-107-10383-2.
^abCarl Darling Buck, A grammar of Oscan and Umbrian : with a collection of inscriptions and a glossary, Boston, 1904
Bibliografia
Profili linguistici:
Prosdocimi, A.L. 1978. «L’osco». In Lingue e dialetti dell’Italia antica, a cura di Aldo Luigi Prosdocimi, 825–912. Popoli e civiltà dell’Italia antica 6. Roma - Padova: Biblioteca di storia patria.
Studi:
Planta, R. von 1892-1897. Grammatik der oskisch-umbrischen Dialekte. 2 voll. Strassburg: K. J. Trubner.
Buck, C. D. 1904. A Grammar of Oscan and Umbrian. Boston: Ginn & Company.
Rex, W., Petrocchi, A. 2019. Grammatica delle Lingue Sabelliche dell’Italia Antica. München: LINCOM GmbH. [ed. inglese. 2007]
Untermann, J. 2000. Wörterbuch des Oskisch-Umbrischen. Heidelberg: C. Winter.
McDonald, Katherine. 2015. Oscan in Southern Italy and Sicily: Evaluating Language Contact in a Fragmentary Corpus. Cambridge: Cambridge University Press. https://doi.org/10.1017/CBO9781316218457.
Janssen, H.H. 1949. Oscan and Umbrian Inscriptions, Leiden.
Vetter, E. 1953 Handbuch der italischen Dialekte, Heidelberg.
Rix, H. 2002. Sabellische Texte. Heidelberg: C. Winter.
Crawford, M. H. et al. 2011. Imagines Italicae. London: Institute of Classical Studies.
Franchi De Bellis, A. 1988. Il cippo abellano. Universita Degli Studi Di Urbino.
Del Tutto Palma, Loretta. 1983. La Tavola Bantina (sezione osca): Proposte di rilettura. Vol. 1. Linguistica, epigrafia, filologia italica, Quaderni di lavoro.
Del Tutto Palma, L. (a cura di) 1996. La tavola di Agnone nel contesto italico. Atti del Convegno di studio (Agnone 13-15 aprile 1994). Firenze: Olschki.
Franchi De Bellis, Annalisa. 1981. Le iovile capuane. Firenze: L.S. Olschki.