Un ingegnere, rimasto vedovo, trova consolazione nell'amore di una giovane donna, Zosi, che diventa sua moglie. Quando Rodolfo ritorna in montagna, dove tutto gli ricorda la prima moglie, il matrimonio entra in crisi e Zosi deve utilizzare tutta la sua dolcezza per riuscire a far definitivamente breccia nel cuore del marito.
Produzione
La troupe, impegnata a Cinecittà, venne sorpresa dai fatti dell'8 settembre. Le riprese in esterni in montagna a Cervinia erano finite, ma mancavano quelle a Pisa. La lavorazione venne sospesa e la produzione affidò (non accreditandolo) tutto il materiale al montatore Mario Serandrei, nonostante Castellani fosse contrario all'idea.
Distribuzione e censura
Il film venne distribuito il 27 ottobre 1944. Ebbe una seconda revisione il 17 aprile 1945; nel nulla osta rilasciato il 17 maggio dello stesso anno si certifica la rimozione di fotogrammi in cui si notano dei saluti fascisti.[1]
Critica
«La triste situazione coniugale è descritta con episodi non del tutto convincenti, e anche la lieta soluzione non ci persuade per il motivo che la provoca. Per meglio dire: non ci persuade l'affrettata e semplicistica soluzione. Il valore psicologico del tormento dei due protagonisti non risulta in pieno, pur avendo avuto il regista molti accorgimenti. Bella la fotografia [...] dovuta all'ottimo Terzano, e curata la messinscena. In quanto agli interpreti, Amedeo Nazzari non ci è apparso nella sua forma migliore, e Marina Berti [...] ha ben caratterizzato il suo personaggio.»
«Il film inizia con una sequenza stupenda, quella del funerale in montagna, degna dei maggiori registi non solo d'Europa. Ma il soggetto, che Castellani ha rifatto su una trama di Salvator Gotta, e che può essere avvicinato a Rebecca, ci presenta dei personaggi così falsi, così fuori di ogni principio d'umanità, che il pubblico si è ribellato (almeno nella versione veneziana) beccando due attori che, diretti da un regista di così vivo e giovane ingegno, stavano dando il meglio di loro stessi. Amedeo Nazzari, bravo e simpatico come da tempo non era più stato, e Marina Berti, incantevole per la sua grazia, una vera attrice. La fotografia, specie negli esterni di montagna, è mirabile, merito di Massimo Terzano.»
Quando Castellani chiese un parere all'amica e sceneggiatrice Suso Cecchi D'Amico, lei espresse sinceramente un parere molto negativo, definendo il film orrendo, e lo invitò a non farlo nemmeno distribuire.[3]