In questo caso l'artista si era ispirato alle opere di John Atkinson Grimshaw, un pittore inglese di epoca vittoriana, che nel suo tempo aveva dipinto diverse vedute urbane al tramonto.[4]
Descrizione
Nello sfondo campeggia un cielo azzurro cosparso di vaporose nuvole bianche, invece in primo piano è stata rappresentata una strada buia con un lampione che rischiara debolmente un'abitazione immersa in un paesaggio cupo e puramente notturno. Le forme sono tridimensionali, la tecnica è impeccabile, quasi accademica, ma la particolarità del dipinto sta nella realtà che vi è rappresentata. L'opera accosta due momenti diversi, opposti tra loro: la metà superiore è vista in pieno giorno, quella inferiore di notte.
La luminosità del sole è contrapposta alla sensazione di turbamento e malessere tradizionalmente collegato all'oscurità; l'obiettivo dell'artista è stato quello di creare un effetto di shock, di spaesamento nei confronti dello spettatore. Citando direttamente Magritte[5]:
«Nell'Impero delle luci" ho rappresentato due idee diverse, vale a dire un paesaggio notturno e un cielo come lo vediamo di giorno. Il paesaggio fa pensare alla notte e il cielo al giorno. Trovo che questa contemporaneità di giorno e notte abbia la forza di sorprendere e di incantare. Chiamo questa forza poesia».
In quest'opera Magritte usa il metodo dell'ossimoro, ovvero una figura retorica che consiste nell'accostare parole che esprimono concetti opposti; in questo caso la raffigurazione del giorno e della notte. L'artista ricostruisce una procedura tipica dei sogni (è nota infatti l'influenza delle teorie freudiane sugli artisti surrealisti come Magritte; il sogno è visto come l'essenza dell'uomo e per questo la sua rappresentazione diventa fondamentale).
Note
^Federico Zeri, Un velo di silenzio, Milano, 1999, p. 229