Il karakuri (in giapponeseからくり? lett. "meccanismi/trucco") è una marionetta o automa prodotto in Giappone tra il diciassettesimo e il diciannovesimo secolo. Ne esistono tre tipologie:[1]
Butai karakuri (in giapponese舞台からくり?): bambole a grandezza naturale progettate per gli spettacoli teatrali.
Zashiki karakuri (in giapponese座敷からくり?): di piccole dimensioni, erano finalizzati a uso casalingo.
Dashi karakuri (in giapponese山車からくり?): grandi bambole meccaniche usate durante le feste religiose.
La parola "karakuri" in giapponese è usata anche per indicare un robot. In lingua indonesiana, la parola "karakuri" (derivata dal giapponese) significa genericamente "meccanismo".
Etimologia e storia
Karakuri deriva forse dal verbo karakuru, che indica l'atto di tirare e muovere un filo.[2]
I primi karakuri vennero sviluppati all'inizio del XVII secolo, durante il periodo Sengoku, dopo che si iniziarono a diffondere in Giappone i primi meccanismi a orologeria europei.[4] I karakuri ebbero particolarmente successo durante il periodo Edo, considerato l'età d'oro di tali manufatti.[4] Dapprima noti ai borghesi più ricchi, come ad esempio i kuge e i daimyo, le marionette meccaniche giapponesi guadagnarono sempre più popolarità, diventando i protagonisti di festival come il Toshogu Matsuri di Nagoya.[5] Il primo karakuri finalizzato agli spettacoli teatrali (butai karakuri) venne ideato dall'orologiaio Takeda Omi nel 1662.[4]
Tanaka Hisashige, che fondò la Toshiba nel 1875, fu anch'egli un costruttore di karakuri. Tra i suoi modelli particolarmente sofisticati ve ne era uno capace di lanciare frecce e un altro in grado di scrivere.[6]
Note
^(EN) Frenchy Lunning, Mechademia 3: Limits of the Human, University of Minnesota Press, 2008, pp. 231.