Il termine itihāsa (sostantivo maschile sanscrito; devanāgarī; इतिहास; lett. "così dunque fu"[1]) si riferisce in modo collettivo alle scritture epicheinduiste che valgono, nella cultura hindū, in qualità di storie-modello per la propria esistenza[2]. La lettura, o ascolto, degli itihāsa è tradizionalmente consentita a tutti i componenti della società hindū, compresi gli śūdra e le donne. Per questa ragione gli Itihāsa, che fanno parte della raccolta Smṛti[3], sono indicati anche come il "quinto" Veda"[4] già a partire dalla Chāndogya Upaniṣad[5]:
«Nomi, e cioè il Ṛgveda, lo Yajur-veda, il Sāma-veda ed infine lo Atharvaṇa come quarto, gli itihāsa ed i purāṇa come quinto, il Veda dei Veda, il rituale per i mani, il calcolo, la divinazione, la conoscenza dei tempi, la logica, le regole di condotta, l'etimologia, la conoscenza degli Dei, la conoscenza dello Spirito Supremo, la scienza delle armi, l'astronomia, la scienza dei serpenti, degli spiriti e dei geni; tutto ciò non sono che nomi. Considera però attentamente ciò che significa 'nome'.»
(Chāndogya Upaniṣad, VII,1,4: traduzione di Pio Filippani Ronconi)
Dal punto di vista tradizionale, la letteratura degli Itihāsa-Purāṇa è una letteratura "scritta" a differenza di quella vedica che è una cultura, ancora, "orale" e che va appresa quindi solo mnemonicamente, essendo fondata soprattutto sulla sonorità. Essendo la scrittura una pratica che non dà in alcun modo accesso al "sapere" essa è affidata a persone di rango "inferiore"[6].
Inoltre, va tenuto presente che gli appartenenti alle famiglie relative alle prime tre caste (gli dvija, i "nati due volte", ovvero i componenti delle prime tre caste hindū: brāhmaṇa, kṣatriya e vaiśya), sono appena l'8,5% dell'intera società hindū e che da questa percentuale vanno sottratte le donne ciò dà la cifra dell'importanza religiosa per gli hindū della letteratura scritta degli Itihāsa-Purāṇa[7].
Strettamente collegati quindi ad altri testi, detti Purāṇa, gli Itihāsa corrispondono a due opere:
Il Rāmāyaṇa ("Il cammino di Rāmā") attribuito tradizionalmente a Vālmīki;
Il Mahābhārata ( "La grande [storia] dei Bhārata") attribuito tradizionalmente a Vyāsa (il "Compilatore", appellativo di Kṛṣṇa Dvaipāyana).
«I due itihāsa, il Rāmāyaṇa e il Mahābhārata, stanno alla base della cultura indiana classica, postclassica e moderna, che instancabilmente ne rielabora, amplifica e modifica e variamente reinterpreta i temi e gli argomenti principali e secondari, sino al punto in cui un tema letterario o una norma di comportamento del tutto nuovi vengono ricondotti artificiosamente a una radice epica per nobilitarne il rango con l'invenzione di una patente di antichità. In linea di principio il Rāmāyaṇa è la fonte della letteratura d'arte (kāvya) e della devozione (bhakti); il Mahābhārata funge da modello per trattati (śastra) sui quattro fini dell'esistenza umana (trivarga: kāma, artha, dharma; in più il mokṣa). Ma non è infrequente il caso in cui temi letterati vengano presi dal Mahābhārata o norme morali siano fatte derivare dal Rāmāyaṇa.»
(Alberto Pelissero, Le letterature classiche dell'India. Brescia, Morcelliana, 2007, p. 68)