In Sicilia tornò nel 1184, al ritorno dal suo lungo viaggio che lo aveva portato a soggiornare per 9 mesi alla Mecca e, quindi, a Baghdad, Mosul e Aleppo e nell'isola soggiornò fino al febbraio del 1185.
Nel suo resoconto di viaggio che chiamò Riḥla (per l'appunto "Viaggio") descrisse l'isola, all'epoca sotto dominazione normanna, descrivendo la grande intelligenza e tolleranza del sovrano Guglielmo II il Buono che (come i suoi predecessori e i suoi successori) non si privò intelligentemente degli importanti apporti culturali e tecnologici garantitigli dai suoi sudditi musulmani.
Una traduzione italiana fu redatta da Celestino Schiaparelli (1841-1919), l'unico allievo di Michele Amari, l'autore dell'insuperato capolavoro della "Storia dei musulmani di Sicilia".
Riḥla, il genere di letteratura di viaggio proposta da Ibn Jubayr - che effettuò altri due lunghi viaggi nell'ecumene islamica senza che suoi scritti si siano peraltro conservati - divenne tanto famoso nel mondo arabo-islamico da fungere da modello per le successive generazioni di scrittori-viaggiatori, e in particolare per Ibn Baṭṭūṭa (il redattore della cui Riḥla fu però Ibn Juzayy), al-Maqrīzī o Ibn Faḍlān.