Giorgio Colli (Torino, 16 gennaio 1917 – San Domenico di Fiesole, 6 gennaio 1979) è stato un filosofo, storico della filosofia e traduttore italiano. Insegnò per trent'anni storia della filosofia antica all'Università di Pisa[1].
Giorgio Colli discendeva da una facoltosa famiglia torinese. Il padre, Giuseppe, amministrò il quotidiano La Stampa ai tempi di Alfredo Frassati, incarico dal quale fu poi estromesso all'indomani della marcia su Roma, su ordine di Benito Mussolini, che fece mettere alla direzione del quotidiano lo scrittore Curzio Malaparte. Dopo la Liberazione, fu nominato amministratore del Corriere della Sera, dove restò per sedici anni.
Colli frequentò in giovane età il liceo classico presso l'Istituto Principessa Clotilde di Savoia e, successivamente, concluse gli studi presso l'Università di Torino, laureandosi in giurisprudenza[1] l'11 luglio 1939, relatore Gioele Solari, discutendo una tesi in filosofia del diritto e filosofia politica dal titolo Politicità ellenica e Platone, sullo sviluppo storico del pensiero politico di Platone[1], ampie parti della quale furono pubblicate a cura dello stesso relatore[1].
Studioso schivo e appartato, lontano da correnti di pensiero "in voga", fedele a Nietzsche e Schopenhauer, scorse nell'antica sapienza presocratica l'autentico "logos" a cui ritornare.
Lo stile di scrittura, profondo e costellato di aforismi taglienti, era caratterizzato da un'attenzione maniacale alla musicalità del testo e della parola. Questa dote musicale emerge con chiarezza dalle letture di alcuni passi di Colli recitati da Carmelo Bene[2].
La sua opera principale è Filosofia dell'espressione (1969), che fornisce, mediante una complessa teoria delle categorie e della deduzione, un'interpretazione della totalità della manifestazione come "espressione" di qualcosa (l'immediatezza) che sfugge alla presa della conoscenza. Comunque, Colli ritiene che sia possibile riguadagnare il fondamento metafisico del mondo portando il discorso filosofico ai suoi estremi limiti e "(di)mostrando" la natura derivata del logos. Bisogna quindi fare i conti con Filosofia dell'espressione se non si vuole scambiare Colli solo per un geniale interprete di Schopenhauer e di Nietzsche.[3]
Colli, oltre che filosofo, fu apprezzato traduttore dell'Organon di Aristotele e della Critica della ragion pura di Kant, nonché docente di storia della filosofia antica all'Università di Pisa e direttore di collana per diverse case editrici (Einaudi, Boringhieri, Adelphi)[4]. Come storico della filosofia, è stato particolarmente importante il suo contributo storico, filologico e critico esercitato su autori come Aristotele, Kant, Schopenhauer, Nietzsche.
Tra i contributi alla storia della filosofia antica vanno ricordati i tre volumi su La sapienza greca, opera rimasta incompiuta a causa della sua morte. I primi due volumi furono pubblicati rispettivamente nel 1977 e 1978, il terzo postumo nel 1980. In essi sono raccolti, tradotti e commentati i frammenti dei presocratici fino a Eraclito e vengono analizzati l'orfismo, i misteri eleusini e i culti delle divinità greche, in particolare Dioniso e Apollo, come forme alogiche di sapienza. Al tentativo di interpretare gli enigmi di questi culti, fra i quali quelli oracolari, viene fatta risalire l'origine remota della dialettica e della filosofia[5], di cui Colli si occupa anche in altri libri[6][7].
A lui si deve anche la prima e fondamentale edizione critica delle opere e degli epistolari di Friedrich Nietzsche, condotta insieme al suo principale allievo Mazzino Montinari. Questa ultima operazione rappresenta senza dubbio uno dei più grandi meriti della coppia Colli-Montinari. In particolare la pubblicazione in edizione critica della "Volontà di potenza" evidenziò come la versione pubblicata nel 1906 da Elisabeth Förster-Nietzsche (sorella del celebre filosofo tedesco) presentava numerose e discutibili manipolazioni in chiave razzista e xenofoba totalmente assenti nell'originale e introdotte volutamente dalla Förster. L'edizione critica delle opere nietzschiane diede avvio ad una profonda revisione degli studi su questo filosofo e in particolare mise in discussione molte interpretazioni che, proprio partendo dalla lettura "falsata" della Volontà di Potenza del 1906, sostenevano la vicinanza di questo autore a quelle correnti di “destra” che sarebbero poi sfociate successivamente nella esperienza del nazismo. Tuttavia questo progetto editoriale fu connotato da molteplici difficoltà. In primo luogo Colli, non avendo alcun contatto con gli ambienti politici, difficilmente sarebbe riuscito ad accedere all'archivio Nietzsche di Weimar, dove erano conservati la gran parte dei manoscritti originali del filosofo tedesco. Negli anni Sessanta infatti, quando il progetto fu concepito, Weimar apparteneva alla Repubblica Democratica Tedesca la quale attraverso numerosi "escamotage" burocratici di fatto impediva agli studiosi occidentali di accedere in qualsiasi modo alle Istituzioni della DDR. Questo problema fu risolto dal fatto che Montinari, a differenza del suo maestro, era iscritto al PCI e anzi proprio attraverso di esso riuscì ad ottenere dai responsabili culturali del partito comunista della Germania orientale i permessi necessari per studiare nell'archivio Nietzsche. Un'ulteriore difficoltà fu determinata dal fatto che la casa editrice Einaudi, con la quale Colli e Montinari iniziarono a definire la pubblicazione delle opere nietzschiane decise all'improvviso, probabilmente per ragioni politiche, di non dare alle stampe le opere del "nazista" Nietzsche che invece furono poi accolte dalla casa editrice Adelphi, fondata alla fine degli anni Cinquanta da un ex einaudiano come Luciano Foà.[8]
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