Nato a Venezia nel 1924, secondo di tre figli in una famiglia della media borghesia, si iscrisse al liceo Marco Foscarini dove conseguì la maturità classica nel 1943. Nella stessa scuola studiava il futuro cognato Alberto Ongaro, fumettista e scrittore, che fu arrestato nel '44, uscì dopo un mese e si unì coi partigiani sui monti.[7]
Si trasferì in seguito per studiare medicina presso l'Università degli Studi di Padova dove conobbe e divenne amico, tra gli altri, del pediatra Franco Panizon. A Padova frequentò un gruppo di studenti antifascisti e per questo, dopo la denuncia di uno di questi, venne arrestato e detenuto per alcuni mesi nelle carceri della Repubblica Sociale Italiana.[8] Fu lì che maturò la contrarietà ai luoghi di coercizione chiusi.[9]
Si specializzò nel 1953 in malattie nervose e mentali presso la clinica neuropsichiatrica di Padova e divenne assistente di Giovanni Battista Belloni. Nello stesso anno sposò Franca Ongaro, dalla quale ebbe nel 1953 il figlio Enrico e nel 1954 la figlia Alberta. La Ongaro, inizialmente interessata alla letteratura, scrisse diversi articoli e alcuni libri; collaborò a lungo col marito nella stesura di alcuni suoi testi sulla psichiatria, entrò in Parlamento con Sinistra indipendente per due legislature, dopo la scomparsa del marito, ne raccolse l'eredità. La moglie fece una riduzione dell'Odissea per ragazzi interamente disegnata dall'amico di Hugo Pratt.[7]
Padova era dominata da un Positivismoscientista e lombrosiano. I clinici chiamavano spregiativamente Basaglia "il Filosofo", per via della sua formazione umanistica. Essi condividevano la tesi organicista secondo cui la malattia psichiatrica deriverebbe da tare biologiche ereditarie. Basaglia entrò in rotta di collisione con queste concezioni.[12]
L'esperienza nelle varie sedi
Gorizia e Colorno
Nel 1958 ottenne la libera docenza in psichiatria ma iniziò ad incontrare resistenze nel mondo accademico e solo tre anni dopo rinunciò alla carriera universitaria e si trasferì a Gorizia per dirigervi l'ospedale psichiatrico. Questa decisione fu influenzata da motivazioni politiche e scientifiche. L'ambiente universitario non era allineato con le idee dell'esistenzialismo i cui maestri italiani (da Enrico Morselli a Arnaldo Ballerini, da Bruno Callieri a Eugenio Borgna) non avevano ottenuto una cattedra.
L'impatto con la realtà del manicomio fu durissimo. Come preparazione era vicino alle idee di Karl Jaspers, Eugène Minkowski, Ludwig Binswanger, ma anche a quelle di Michel Foucault e Erving Goffman.
Nel 1961 fu fortemente influenzato dal saggio Asylums di Goffmann, di cui curò la prefazione all'edizione italiana. Il volume descriveva le conseguenze dell'isolamento e della solitudine sociale.[12]
Dopo alcuni viaggi all'estero, compresa una visita alla comunità terapeutica di Maxwell Jones, fece arrivare da Padova Antonio Slavich, conosciuto a metà degli anni cinquanta nell'ateneo di quella città, ed iniziò con lui la prima esperienza anti-istituzionale nell'ambito della cura dei malati di mente.[13] Tentò di realizzare a Gorizia quanto Jones aveva cominciato a fare da dieci anni in Inghilterra, cioè modificare la struttura rigida e gerarchica dell'ospedale psichiatrico, caratterizzata da rapporti di tipo verticale, in un'organizzazione più aperta ed orizzontale, rendendo paritario il rapporto fra gli utenti-pazienti e gli operatori sanitari. Questo comportava l'eliminazione della contenzione fisica, delle terapie con elettroshock e dei cancelli chiusi nei reparti. L'approccio avrebbe dovuto essere spostato nel rapporto umano con l'aiuto di sole terapie farmacologiche. In tal modo chi si trovava nelle strutture sanitarie doveva diventare persona da aiutare e non da recludere o isolare.
La trasformazione dell'ospedale psichiatrico secondo il sogno[14] di Basaglia si rivelò difficile da far accettare alla città.[15] All'interno dell'ospedale psichiatrico aveva allestito laboratori di pittura e di teatro, aveva fatto nascere una cooperativa di lavoro tra i pazienti in modo da permettere loro svolgere lavori riconosciuti e retribuiti ma l'idea di andare oltre questa trasformazione all'interno dell'ospedale psichiatrico ancora non si realizzò. Il manicomio andava chiuso, sostituito da una rete di servizi esterni per l'assistenza delle persone affette da disturbi mentali. L'approccio psichiatrico andava modificato perché senza comprendere i sintomi della malattia mentale non era possibile mantenere un ruolo nel processo che finiva per escludere il malato mentale, come prevedeva il sistema istituzionale.
Il lavoro portato avanti da Basaglia sicuramente non avrebbe potuto essere realizzato senza le persone che sin dalle sue prime iniziative a Gorizia lo seguirono, e tra di esse prima di tutti la moglie Franca Ongaro, e poi psichiatri, intellettuali ed operatori sanitari come Antonio Slavich, Lucio Schittar, Agostino Pirella, Domenico Casagrande, Leopoldo Tesi, Giorgio Antonucci, Maria Pia Bombonato, Giovanni Jervis e Letizia Jervis Comba.[16]
Intanto, nel 1967, curò il volume Che cos'è la psichiatria? e nel 1968 il fondamentale L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, nel quale raccontò al grande pubblico l'esperienza dell'ospedale psichiatrico di Gorizia. L'istituzione negata, scritto con la collaborazione della moglie Franca Ongaro, ottenne grande successo editoriale. Nel 1970 lasciò Gorizia e si stabilì in provincia di Parma per dirigere l'ospedale psichiatrico di Colorno su invito di Mario Tommasini, politico col quale intraprese una fervida collaborazione; nel parmense rimase sino al 1971.
Nel 1972 il cavallo Marco, che sino a quel momento era stato utilizzato dentro la struttura, venne destinato al macello. I ricoverati, con una loro lettera indirizzata a Michele Zanetti, presidente della provincia, ottennero che gli venisse salvata la vita e che venisse affidato alle loro cure. Il fatto di cronaca diede l'ispirazione a Vittorio Basaglia, cugino dello psichiatra, per la realizzazione di un'opera artistica, il Marco Cavallo, che fu costruito nei locali dell'ospedale nel 1973 durante un'animazione collettiva curata da Vittorio Basaglia e Giuliano Scabia che coinvolse tutta la struttura.[17] La vicenda ebbe un forte significato simbolico.
Grazie alla sua opera di critica istituzionale al manicomio ed al processo di re-integrazione sociale dei pazienti da lui avviato, un collettivo di degenti arriverà a fondare, il 16 dicembre 1972, la prima cooperativa sociale del mondo[18], denominata inizialmente Cooperativa Lavoratori Uniti (CLU) ed in seguito intestata allo stesso Basaglia[19].
L'azione di Basaglia portò, nel gennaio 1977, all'annuncio della chiusura dell'ospedale psichiatrico "San Giovanni" di Trieste entro l'anno (anche se in realtà questo avvenne più tardi[20]) e il 13 maggio 1978 all'approvazione della legge 180 di riforma psichiatrica. A questo punto, nel 1979, Basaglia partì per il Brasile e attraverso una serie di seminari raccolti nel volume Conferenze brasiliane[21], testimoniò la sua esperienza. A succedergli nella direzione dell'ospedale ormai aperto e molto diverso da come era solo 8 anni prima fu Franco Rotelli. A Trieste si formarono anche Peppe Dell'Acqua e Giovanna Del Giudice.
Nel 1973 l'ospedale fu riconosciuto dall’Organizzazione mondiale della sanità come esperienza pilota nella ricerca psichiatrica.[7]
Sempre nel febbraio 1977 visitò il palazzo Tassoni Estense di via della Ghiara di Ferrara, sede dell'ospedale psichiatrico cittadino, dove si stava tenendo il convegno La Scopa Meravigliante, organizzato da Antonio Slavich, suo collaboratore sin dai tempi di Gorizia e nella città estense dal 1971. In quell'occasione ebbe modo di ribadire le linee guida della sua visione riformatrice.[22]
A Trieste, nel 1977, vi fu anche Dario Fo, amico da tempo di Basaglia, per partecipare con un suo spettacolo e sostenere così la riforma. In quell'occasione si ebbe anche un episodio di contestazione da parte di movimenti autonomi più interessati alle carceri speciali.[23]
Roma
Dopo aver lasciato definitivamente Trieste e anche in conseguenza delle modifiche legislative che la sua azione aveva accelerato si trasferì a Roma per assumere l'incarico di coordinatore dei servizi psichiatrici della Regione Lazio. Non ebbe modo di mettere in atto nella sua nuova sede iniziative importanti[24] perché nella primavera del 1980 si manifestarono i primi sintomi di un tumore cerebrale, che in pochi mesi lo portarono alla morte. Spirò il 29 agosto 1980 nella sua casa di Venezia, la città dove era nato e dove a lungo, anche quando lavorava altrove, come racconta la figlia Alberta, continuava a tornare durante i fine settimana.[25] La legge 180 è ancora in vigore e regola l'assistenza psichiatrica in Italia, anche se non è mai stata applicata in modo completo.[26][27][28]
Morte
Nella primavera del 1980 si manifestano i primi segni di un tumore cerebrale che lo conducono alla morte in pochi mesi. Si spegne il 29 agosto nella sua casa di Venezia.[29]
«Noi, i campioni della grande civiltà occidentale che rivendica i valori dell'individuo, dello spirito e della ragione, ci troviamo indeboliti e distrutti da un sistema la cui logica sopravvive sulla nostra debolezza, sulla nostra acquiescenza e sulla manipolazione di questa debolezza e questa acquiescenza. I valori assoluti che ci sono stati sempre proposti (vanto della nostra civiltà popolata di santi e di eroi) hanno agito - nella loro irraggiungibilità e disumana perfezione - come strumento di dominio attraverso il gioco della colpa in chi non riesce a realizzarli, e come addestramento al compromesso e all'accettazione della propria impotenza negli ostinati che tentano di farlo. La distanza fra assoluto e relativo, quando il valore proposto come unico sia assoluto, serve come strumento di soggezione, dipendenza, manipolazione; serve a rendere assolutamente relativa (quindi vuota, inutile, priva di significato) ogni azione agli occhi di chi agisce; serve a far accettare supinamente e acriticamente la condizione disumana in cui si vive.»
(Franco Basaglia, Introduzione a La salute mentale in Cina, di Gregorio Bermann, Einaudi 1972)
Durante il periodo della sua formazione, leggendo Ludwig Binswanger ed Edmund Husserl, si avvicinò alla fenomenologia e fece sua la distinzione tra Körper, il corpo fisico, la cosa, e Leib, il corpo personale, vivente.[30]
Basaglia fece suo il superamento del dualismo-contrapposizione tra anima e corpo che aveva influenzato psicologia e psichiatria fino ad allora[31] e ritenne corretta la posizione della sospensione del giudizio. Non intendeva annullare la realtà, che continua ad esistere, ma voleva spostare l'attenzione sul come il mondo si presenta alla coscienza, o a come la coscienza prende atto del mondo.
Superato così il positivismo le problematiche della moderna psichiatria andavano affrontate con l'aiuto della fenomenologia e quindi una diagnosi corretta si poteva ottenere solo evitando di considerare la malattia mentale come se fosse una malattia fisica. Edmund Husserl sosteneva che la psiche umana è decisamente complessa e misteriosa e che quindi la psichiatria non doveva oggettivizzare il malato né illudersi di trovare soluzioni facili. L'approccio corretto si realizzava mettendosi dalla parte del paziente, e, come suggeriva Karl Jaspers, osservarne i comportamenti e stabilire una relazione senza temere la possibile immedesimazione e con la conseguente sofferenza.[32]
Esistenzialismo
Sempre nel periodo della sua formazione, negli anni cinquanta, approfondì le tematiche esistenzialiste di Martin Heidegger e ne riprese l'idea della struttura fondamentale dell'esserci come essere nel mondo (In der Welt sein). Il Dasein apre una porta diversa all'interpretazione della manifestazione nel mondo dell'essere umano e in questo Basaglia vi scorse l'incomprensibilità profonda della malattia mentale e portandolo ad abolire la distinzione accademica tra sano e malato del positivismo.
Seguendo Heidegger arrivò alle conclusioni che era importante prendersi cura (Sorge) delle cose e degli altri e che questa è l'essenza dell'uomo. Intese l'esistenza inautentica caratterizzata dalla necessità dell'esclusione delle questioni mondane in modo che gli altri non spariscano nella loro particolarità e determinatezza. Secondo questa visione l'esistenza autentica viene dominata dall'angoscia e dalla consapevolezza dei propri limiti. All'estremo, l'essere per la morte, con una decisione anticipatrice, è la sola esistenza autentica, consapevole di ciò per cui si è disposti al sacrificio.[33]
Psicopatologia
L'idea di tempo di Eugène Minkowski, legata alle analisi di Henri Bergson che ponevano dubbi sulla sua effettiva natura, fecero intendere a Basaglia la vita come un flusso discontinuo e indefinibile. Fece suo il concetto di slancio vitale, lontano dall'impostazione positivista e ponendo l'uomo in una dimensione adatta a sviluppare in modo autentico, come sostenuto da Minkowski, il contatto vitale con la realtà.[34]
Lo schizofrenico manca di questo contatto vitale[35] (Minkowski e anche Binswanger) e sembra bloccarsi in una specifica fase temporale, in un presente costante e sempre attuale.
Basaglia inoltre diede molta importanza alla simpatia e la ritenne essenziale perché si possa verificare un contatto vitale ed autentico con la realtà.[36] Questa, come la comprensione e la partecipazione, doveva necessariamente entrare nel flusso temporale del divenire,che non è lineare né definibile in modo univoco nello spazio. Serve un incontro profondo tra medico e paziente affinché si raggiunga una doppia situazione di consapevolezza: quella del medico nei confronti della persona malata che ha di fronte e quella che il malato acquista di sé.
Così fece suo il metodo di Minkowski, lo preferì esplicitamente all'indagine psicoanalitica ed alla logoterapia. L'individuo andava considerato nella sua globalità, unica via per ricondurre la persona alle sue piene potenzialità. Affrontare solo i sintomi della sofferenza non avrebbe permesso alla persona che si aveva di fronte di ritornare nell'ambiente sociale dal quale era stata esclusa.
Il corpo in psichiatria
Sin dal periodo della sua specializzazione in malattie nervose e mentali venne fortemente influenzato dai lavori di diversi autori che, in alcuni casi già da anni, stavano lasciando una forte impronta anche nella psicologia e nella psichiatria. In particolare questi furono Jean-Paul Sartre e Maurice Merleau-Ponty, ma anche Frantz Fanon, Erving Goffman e Michel Foucault.
Merleau-Ponty e Sartre, con diversi altri intellettuali, fondarono nel 1945 la rivista Les Temps Modernes, inoltre in quel periodo pubblicarono due testi importanti: Fenomenologia della percezione[37] il primo e L'essere e il nulla[38] il secondo.
Nei primi anni sessanta poi uscirono altri tre testi fondamentali: I dannati della terra[39] di Frantz Fanon, Asylums; le istituzioni totali; la condizione sociale dei malati di mente e di altri internati[40] di Erving Goffman e la Storia della follia nell’età classica[41] di Michel Foucault.
I testi di Sartre e Merleau-Ponty vennero continuamente citati negli scritti dello stesso Basaglia che con il filosofo parigino ebbe anche rapporti personali diretti, incontrandolo in più occasioni e non nascondendosi la reciproca stima.
Basaglia tentò il recupero dell'entità corporea, restituendo al corpo quel valore che le istituzioni manicomiali che lo custodivano gli avevano tolto. Riallacciandosi al pensiero di Jean-Paul Sartre sostenne il concetto di corpo ambivalente; come oggettivo, per gli altri ed esposto allo sguardo degli altri, e anche come soggettivo, corpo per sé, col quale si esiste in un mondo. Come Sartre aveva distinto la coscienza di sé dal mondo.
Pur essendo nel mondo, l'essere è diverso dal mondo: è possibilità e libertà. L'uomo che naturalmente e liberamente vive è responsabile di tutto ciò che fa e progetta, inoltre deve poter scegliere e scegliersi. Questa fase critica tuttavia, l'esperienza della libertà incondizionata e della mancanza di riferimenti oggettivi, genera angoscia. Tentare di sfuggire a questa situazione può sfociare nell'illusione di vivere in un mondo razionale o nella ricerca di sicurezze attribuendo un fine alla natura o affidandosi a valori trascendenti. L'alternativa resta quella di convivere con la situazione di fatto, semplicemente accettandola.
Restando più aderente all'approccio fenomenologico, mitigò (sul modello di Merleau-Ponty) la separazione tra corpo oggettivo e corpo soggettivo poiché tale distinzione netta è impossibile. Il corpo è il mezzo per avere un mondo e di conseguenza la libertà è possibile ma rimane condizionata perché l'uomo vive nel mondo e tra gli altri in un groviglio di relazioni inestricabile. Il corpo rimane complementare alla soggettività dell'io, ma rappresenta pure l'esperienza più profonda ed insieme più ambigua. L'ambigua bipolarità del corpo, contemporaneamente presente e dimenticato, attivo e passivo nelle percezioni, rende l'esperienza corporea la più fragile delle esperienze.”[42]
Posizione
Partendo dai suoi studi e dai suoi interessi filosofici, rivolti soprattutto all'esistenzialismo e alla fenomenologia,[43] e dopo un'esperienza personale diretta nel mondo reale dell'ospedalizzazione psichiatrica Basaglia prese sempre più coscienza dell'incongruenza tra i diversi modelli della dimensione corporea ai quali stava avvicinandosi ed il lavoro dello psichiatra, che doveva adeguarsi alla struttura esistente. Maturò quindi l'urgenza di migliorare la gestione e la custodia dei malati mentali arrivando alla critica radicale dell'istituzione manicomiale, poiché in quella situazione erano un luogo di emarginazione, non di cura, e annullavano la dignità del malato come persona.[44]
Capì che il malato di mente non ha solo bisogno di cure per la sua malattia ma anche di un rapporto umano con chi lo segue. Inoltre gli apparve evidente che al malato, come ad ogni essere umano, servono risposte pratiche; quindi necessita di denaro, di una famiglia e di tutto ciò che ognuno di noi cerca nella vita. Quando ritornava uomo, chi prima era considerato folle non presentava più una malattia, ma una crisi sotto vari aspetti che, se affrontata con una tradizionale diagnosi, aveva come unico risultato quello di cristallizzare una situazione istituzionalizzata.
Come psicopatologo la sua preoccupazione principale divenne quella di salvaguardare la persona del malato di fronte al potere dell'istituzione psichiatrica e divenne sostenitore dell'antipsichiatria[45], nel senso che negò la funzione di controllo della psichiatria tradizionale.
[46][47] Poiché la malattia mentale non è una malattia fisica sostenne quindi che lo psichiatra doveva ascoltare chi aveva di fronte e rinunciare ad ogni certezza precostituita, sospendendo il giudizio.
Era arrivato alla conclusione che non si può trasformare il mondo senza trasformare se stessi, senza esporsi al rischio di diventare altri da ciò che si è.
Basaglia indicò alcuni passaggi necessari per realizzare le sue idee, e questi comprendevano una pressione sull'istituzione perché modificasse il suo modo di operare, far riflettere tutti gli operatori sanitari sulla necessità del cambiamento, l'utilizzo di farmaci coi quali iniziare una prima modifica di rapporti tra istituzione e ricoverato, il mantenimento o la possibilità di riallacciare i rapporti tra pazienti e mondo esterno e, molto importante, l'apertura fisica e simbolica delle porte.[48]
A Franco Basaglia è intitolata la biblioteca comunale del Municipio XIX, Primavalle (Roma)[50] e la biblioteca comunale di Vaiano (PO).
Parco pubblico in cui sorgeva l'ospedale psichiatrico di Gorizia.
Gli sono state intitolate diverse vie in alcune città italiane, come Bologna, Ferrara e Roma. Anche nello Stato di San Paolo, a Jaguariúna, gli sono state intitolate una via ed una piazza.
Il Teatro dell'ex ospedale psichiatrico di Trieste è stato dedicato alla memoria di Franca Ongaro e Franco Basaglia.
Il Centro Socio-riabilitativo di Genova Quarto fondato da Antonio Slavich porta il suo nome.[52][53]
Nel 1975 ha ricevuto, insieme alla moglie Franca Ongaro, un premio speciale nell'ambito del Premio Sila per ... la passione civile e politica che anima la loro attività di operatori culturali e sociali.[54]
(ES) La instituciòn en la picota, Buenos Aires, Editorial Encuadre, 1974.
(PT) A psiquiatria alternativa: contra o pessimismo da razão, o otimismo da prática: conferências no Brasil, San Paolo del Brasile, Brasil Debates, 1979. Edizione italiana: Franca Ongaro (a cura di), Conferenze brasiliane, Contributi di Maria Grazia Giannichedda. Collana: Minima, Milano, Raffaello Cortina, 2000, ISBN88-7078-614-5.
Scritti I, 1953-1968. Dalla psichiatria fenomenologica all'esperienza di Gorizia, Torino, Einaudi, 1981.
Scritti II, 1968-1980. Dall'apertura del manicomio alla nuova legge sull'assistenza psichiatrica, Collana: Paperbacks, Torino, Einaudi, 1982, ISBN88-06-52670-7.
Esposizione di alcuni casi di utile impiego del Test del disegno nei disturbi del linguaggio, in Rivista Sperimentale di Freniatria e Medicina Legale delle Alienazioni Mentali, vol. 76, n. 2, giugno 1952, pp. 300-305, PMID12994675.
Il mondo dell’«incomprensibile» schizofrenico attraverso la «Daseinsanalyse». Presentazione di un caso clinico, in Giornale di Psichiatrie e di Neuropatologia, vol. 81, n. 3, 1953, pp. 471-499, PMID13128418.
Sull’impiego del Test di associazione verbale secondo Rapaport in clinica psichiatrica, in Giornale di Psichiatrie e di Neuropatologia, vol. 81, n. 4, 1953, pp. 725-737, PMID13142364.
Contributo allo studio psicopatologico e clinico degli stati ossessivi, in Rassegna di Studi Psichiatrici, vol. 43, n. 2, maggio 1954, pp. 269-310, PMID13186170.
Su alcuni aspetti della moderna psicoterapia: analisi fenomenologica dell’«incontro», in Rivista Sperimentale di Freniatria e Medicina Legale delle Alienazioni Mentali, vol. 78, n. 2, giugno 1954, pp. 239-264, PMID13225524.
con Gianfranco Dalla Barba, A proposito della risposto «maschera» nel Test di Rorschach, in Rivista Sperimentale di Freniatria e Medicina Legale delle Alienazioni Mentali, vol. 78, n. 2, giugno 1954, pp. 433-436, PMID13225535.
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con Pessina G, Il Test di associazione verbale e il Test Wechsler Bellevue in un gruppo di soggetti a sintomatologia isterica, in Rassegna di Studi Psichiatrici, vol. 45, n. 3, 1956, pp. 475-498, PMID13359749.
Il corpo nell’ipocondria e nella depersonalizzazione. La struttura psicopatologica dell’ipocondria, in Rivista Sperimentale di Freniatria e Medicina Legale delle Alienazioni Mentali, vol. 80, 1–2, giugno 1956, pp. 159-185, PMID13351471.
Il corpo nell’ipocondria e nella depersonalizzazione. La coscienza del corpo e il sentimento di esistenza corporea nella depersonalizzazione somatopsichica, in Rivista Sperimentale di Freniatria e Medicina Legale delle Alienazioni Mentali, vol. 80, n. 3, agosto 1956, pp. 453-490, PMID13360063.
L’azione della cloropromazina sull’esperienza delirante primaria, in Rivista Sperimentale di Freniatria e Medicina Legale delle Alienazioni Mentali, vol. 81, n. 3, settembre 1957, pp. 787-798, PMID13506504.
Delirio di negazione e ossessione della negazione, in Rivista Sperimentale di Freniatria e Medicina Legale delle Alienazioni Mentali, vol. 81, n. 2, luglio 1957, pp. 506-510, PMID13466972.
A proposito del «dreamy state» e della depersonalizzazione nevrotica. Comunicazione al XII Congresso nazionale della Società italiana di neurologia, in Rivista Sperimentale di Freniatria e Medicina Legale delle Alienazioni Mentali, vol. 81, n. 2, luglio 1957, pp. 371-378, PMID13466958.
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^Mario Colucci, Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia, Edizioni Bruno Mondadori, Milano, 2001, pp. 6-7.
^Edmund Husserl, pp. 146-147 Husserl, nella quinta parte di Meditazioni cartesiane, scrive: ... io trovo allora in una determinazione unica il mio corpo, che è appunto l'unico a non essere mero corpo fisico o cosa (Körper), ma ... (Leib), oggetto unico al di dentro della mia falda di mondo astrattiva, ...
^Basaglia: Corpo, sguardo e silenzio, pp. 295-296 L'opaca impenetrabilità del corpo che noi avvertiamo e viviamo come la resistenza delle cose è, dunque, la precategorialità di cui parla Husserl, per il quale il corpo si dà come materia (impenetrabile, opaco, passivo) ma proprio nel suo essere tale è contemporaneamente una modalità del corpo-proprio di esperire la materia […] in me c’è dunque un'enigmatica qualità per cui la materia, costitutiva di me stesso, è — nel mio rapporto con le cose — il mio modo di esperire, la mia possibilità di vivere in mezzo all’oggettualità delle cose
^Mario Colucci e Pierangelo Di Vittorio Comprendere significa avvicinarsi all'esperienza vivente nei suoi stessi termini, mobilitando non il semplice intelletto, ma tutte le capacità intuitive del nostro animo, per penetrarne l'intima essenza senza ridurla ad ipotesi causali precostituite.
^Eugène Minkowski, p. 49: Il contatto vitale con la realtà sembra rapportarsi ai fattori irrazionali della vita. Il contatto vitale con la realtà riguarda molto di più il fondo stesso, l’essenza della personalità vivente nei suoi rapporti con l’ambiente. E questo ambiente, ancora una volta, non è né un insieme di stimoli esterni, né di atomi, né di forze o energie; è un’onda mobile che ci avvolge da ogni parte e che costituisce il mezzo senza il quale non potremmo vivere.
^E. Minkowski, Il tempo vissuto, cit., p. 64: La simpatia non potrà essere istantanea, vi è sempre in essa della durata, e in questa durata vi sono due divenire, i quali, in perfetta armonia, fluiscono l’uno accanto all’altro. Così facendo essi si penetrano tanto intimamente che, anziché ammettere l’esistenza di un sentimento che quasi per risonanza evocherebbe un sentimento analogo in un altro individuo, si sarebbe piuttosto inclini a considerarlo un sentimento solo che, pur restando uno, si integri in due vite individuali diverse. Si tratta qui di vera partecipazione.
^F. Basaglia, Il corpo nell'ipocondria e nella depersonalizzazione. La struttura psicopatologica dell'ipocondria, 1956, in Scritti I, 1953-1968. Dalla psichiatria fenomenologica all'esperienza di Gorizia, Torino, Einaudi, 1981. vol. 1 p. 137
^Pier Aldo Rovatti (a cura di), Dizionario Bompiani dei Filosofi Contemporanei, Bompiani, Milano, 1990, p. 33.
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Approfondimenti
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