Filippo Albacini nacque a Roma il 14 febbraio 1777.[1] Suo padre era lo scultore Carlo Albacini e proprio da lui apprese l'arte della scultura, sebbene guardò anche alle opere di Antonio Canova.[1]
Assieme al padre collaborò a varie opere, come ad esempio a un grande e ornato dessert eseguito per la corte reale di Napoli.[1]
Scolpì poche opere e tra i soggetti delle sue sculture si ricordano Aiace, Venere, il Genio della Bellezza, oltre ai vari monumenti sepolcrali e ritratti.[1] Tra le sue opere si ricorda la realizzazione di una serie di busti rappresentanti uomini illustri, un tempo al Pantheon ma oggi conservati nella Protomoteca Capitolina.[1] Ma tra tutte, certamente la sua opera più celebre è l'Achille morente, di cui esistono due esemplari: un primo eseguito nel 1823 su ordinazione di William Cavendish, VI duca di Devonshire, e conservato alla Chatsworth House; un altro eseguito nel 1854 e conservato all'Accademia di San Luca.[1] Lavorò anche per l'Oratorio dei Pescivendoli a Roma, attiguo alla Chiesa di Sant'Angelo in Pescheria, probabilmente eseguendo otto busti di apostoli in stucco.[1]
Sebbene di stampo ed educazione neoclassica, l'artista si avvicinò a forme di accentuato realismo individuabili in una marcata precisazione dell'espressione psicologica.[1]
Assai ricco, lasciò erede del suo cospicuo patrimonio l'Accademia di San Luca, allo scopo di istituire pensioni biennali per giovani scultori romani.[1] Nel cortile dell'Accademia è presente una sua scultura a grandezza naturale eseguita in suo onore da Alberto Galli e ancora oggi l'Accademia bandisce un premio di scultura intitolato a suo nome.[1]