Felo de se è una locuzione latina, il cui significato letterale è: "fellone da sé" ed è un termine legale arcaico (soprattutto in uso nell'area anglosassone) utilizzato per indicare il suicidio di una persona o la sua morte durante un tentativo di commettere un altro crimine (ad esempio un furto o un omicidio).
Storia del termine
Secondo quanto stabilito dalla common law inglese, un adulto che commetteva suicidio era letteralmente un fellone e secondo la religione gli era riservata una sepoltura indegna, cioè senza i dovuti sacramenti, spesso lungo i cigli delle strade di campagna. Le sepolture dei felo de se avevano luogo tipicamente di notte, senza clero o parenti, ed il luogo veniva mantenuto segreto dalle autorità.[1] Un bambino o una persona malata di mente che si fossero uccisi, ad ogni modo, non erano considerati felo de se e non venivano puniti post-mortem per le loro azioni. Attualmente il termine non è più usato a livello legale.
Soprattutto durante i secoli XVII e XVIII i casi di suicidio iniziarono sempre più ad essere considerati come atti di temporanea insanità di mente e come tale molti coroner iniziarono a dichiarare le vittime di suicidio come non compos mentis piuttosto che felo de se.[2]
La definizione continuò ad essere utilizzata ad ogni modo per coloro che decidevano di suicidarsi in attesa di verdetti ufficiali da parte dei tribunali, a quanti si togliessero la vita volontariamente per sfuggire ad un processo o ad una punizione da parte del governo o ancora a quanti morissero durante un tentativo di commettere un altro caso di fellonia, ad esempio un ladro che fosse stato ucciso dal proprietario della casa dove si trovava a rubare.
L'espressione "Felo de se" si trova in una poesia di Amy Levy e del poeta georgiano Richard Hughes. Si trova nel romanzo Infinite Jest di David Foster Wallace, in riferimento alla morte del regista James Orin Incandenza. È anche il titolo di un libro di R. Austin Freeman.
Note
Voci correlate