L'eruzione del Vesuvio del 1631 fu un evento eruttivo verificatosi sul Vesuvio nel corso della prima metà del XVII secolo e la cui fine avvenne, secondo la tradizione, solo dopo l'esposizione della statua di San Gennaro dinanzi al vulcano.
Storia
Dopo numerosi eventi premonitori quali rigonfiamento del suolo, piccoli terremoti che si manifestavano già da qualche mese e prosciugamento delle fonti, all'alba del 16 dicembre del 1631 avvenne l'eruzione che seguì un periodo di inattività di circa 300 anni: il fenomeno si manifestò con l'apertura di una bocca laterale sul versante Sud-Est con una iniziale fase di attività stromboliana e forse l'emissione di una colata di lava (per alcuni autori invece quest'ultima non avvenne). Una prima fase espulse ceneri frammiste all'acqua che scesero a valle a grandi velocità, oltre a colonne di vapore. Successivamente ebbe luogo una violenta attività esplosiva dal cratere centrale con un'alta colonna di ceneri, pomici e gas.
Nella seconda parte della giornata del 16 dicembre e nella successiva del 17 vi fu l'emissione di flussi piroclastici che mieterono le prime vittime a Portici, Torre del Greco e negli altri paesi ai piedi del vulcano e costrinsero gran parte della popolazione a cercar rifugio a Napoli. Nel corso dell'eruzione si ebbero violenti scrosci di pioggia che mobilizzarono le ceneri deposte sui pendii del vulcano e causarono valanghe di fango che coprirono la maggior parte dei paesi sulle sue pendici. Nel corso del secondo giorno dell'eruzione (17 dicembre), l'arcivescovo ordinò una nuova processione di intercessione con l'esposizione delle reliquie di san Gennaro e, secondo molti storici e letterati dell'epoca, l'eruzione cominciò a scemare proprio quando la statua del Santo fu rivolta al vulcano.
L'eruzione ebbe fine 17 giorni dopo aver eruttato un quantitativo di circa duecentocinquanta milioni di metri cubi di lava.
Nel 1633 sulla cappella del tesoro fu scolpita in sua riconoscenza la seguente dedica: Divo Jannuario - Patriae, regnique praesentissimo tutelari - grata Neapolis.
Danni e vittime dell'eruzione
Portici, Resina (l'antica Ercolano), Torre del Greco e Torre Annunziata furono semidistrutte, mentre la frazione Pietra Bianca (Leucopetra) fu ridenominata, da allora, Pietrarsa. Le vittime accertate in quell'area furono tremila; molti di più furono gli animali (soprattutto bovini) uccisi dal torrente di lava.
Anche dalla parte del Monte Somma la distruzione fu quasi totale. Infatti gravissimi danni subirono Ottajano (oggi denominata Ottaviano) e la vicina Somma Vesuviana. A Ottajano morirono circa 1000 persone e circa 3000 trovarono scampo in località distanti come Sarno, Nola e Avellino e nella stessa Napoli.
Complessivamente le vittime accertate furono 4000, oltre a circa 6000 capi di bestiame, i senza tetto scappati verso Napoli furono circa 44000.
L'eruzione ebbe una vastissima eco e fu immortalata in numerose opere d'arte dell'epoca. Tra queste è famoso un quadro di Micco Spadaro che ritrae la processione di San Gennaro che si tenne a Napoli con la partecipazione della nobiltà napoletana e di una vasta massa di popolo.
Incisioni dell'epoca
Ricordo
A ricordo della minaccia diretta, a Portici una lapide fatta murare dal Viceré Emanuele Fonseca Zunica, ammonisce in latino il viandante a fuggire al minimo rumoreggiare del vulcano:
(LA)
«Posteri, Posteri!
Vestra res agitur dies facem praefert diei nudius perendino
advortite
Vicies ab satu solis in fabulatur historia
arsit Vesaevus
immani semper clade haesitantium
ne posthac incertos occupet moneo
uterum gerit mons hic
bitumine alumine ferro sulphure auro argento
nitro aquarum fontibus gravem
serius ocyus ignescet pelagoq influente pariet
sed ante parturit
concutitur concutitq solum
fumigat coruscat flammigerat
quatit aerem
horrendum immugit boat tonat arcet finibus accolas
emica dum licet
Iam iam enititur erumpit mixtum igne lacum evomit
praecipiti ruit ille lapsu seramq fugam praevertit
si corripit actum est periisti
Ann Sal MDCXXXI XVI KAL JAN
Philippo IV rege
Emmanuele Fonseca et Zunica Comite Montis regii
pro rege
Repetita superiorum temporum calamitate subsidiisq calamitatis
humanius quo munificentius
formidatus servavit spretus oppressit incautos et avidos
quibus lar et suppellex vita potior
tum tu si sapis audi clamantem lapidem
sperne larem sperne sarcinulas mora nulla fuge
Antonio Suares Messia Marchione Vici
Praefecto Viarum»
(IT)
«Posteri, posteri
è nel vostro interesse, l'esperienza vissuta ammaestra la vita a venire
Vigilate
Venti volte da che brilla il sole, è storia, non favola
fu in eruzione il Vesuvio
sempre con immane strage di quelli che hanno indugiato
Ammonisco perché d'ora in poi non ghermisca gli incerti.
Questo monte ha gravido il ventre
di bitume, allume, ferro, zolfo, oro, argento, nitro e fonti d'acque
Presto o tardi sarà incandescente
e con gli influssi del mare li partorirà
Però prima dell'eruzione si sconvolge e scuote la terra
manda fumo, lampeggia, vomita fiamme, squassa orribilmente l'aria
emette muggiti, boati, tuoni: fa allontanare dalle loro terre i vicini
Spicca il volo finché ti è consentito
da un momento all'altro scoppia, e rompe impetuosamente.
Vomita un lago di miscela di fuoco
precipita in celere corsa, preclude la fuga tardiva
Se ti ghermisce è finita: sei morto!
Nell'anno di salute 1631, il 16 dicembre, regnando Filippo IV ed essendo viceré Emanuele Fonseca Zunica, conte di Monterey.
Verificatasi nuovamente la calamità dei tempi passati
ed essendo provveduto con grande umanità e munificenza
ai relativi soccorsi
(Si rinnova il monito)
Il Vesuvio, temuto, ha serbato in vita.
Non tenuto in considerazione, ha fatto strage
degli incauti e degli avidi
per i quali la casa e le masserizie contavano più della vita
Allora, se hai giudizio, presta ascolto a questa lapide eloquente
non curarti della casa, non badare ai bagagli:
fuggi, senza alcuna esitazione!
Essendo il marchese Antonio Suarez Messia Marchione vicesoprintendente alla cura dei ponti e delle strade.»
Bibliografia
Antonio Nazzaro, Il Vesuvio - storia eruttiva e teorie vulcanologiche, Liguori, 1997