Emanuel Ringelblum nasce a Buczacz in Galizia da una famiglia ebrea: il padre Fajwisza Ringelblum era un commerciante, e Munie Heler, la madre, una casalinga; aveva un fratello e due sorelle. La madre morì quando Emanuel aveva 12 anni. Inizia gli studi nella città natale ma ben presto, nel 1914, si trasferisce a Nowy Sacz a causa dei pogrom. A Nowy Sacz frequenta il liceo e si diploma, nonostante le difficoltà economiche della famiglia.
Nel 1920 si trasferisce a Varsavia per frequentare l'università; si laurea in storia e filosofia scrivendo una tesi sulla storia degli ebrei di Varsavia durante il Medioevo; la sua tesi è stata pubblicata a stampa nel 1932. Fu un'amante della lingua yiddish ed era interessato agli aspetti folcloristici della tradizione ebraica. Sposò Judith (Jehudis) Lewit Herman ed ebbe un figlio, Uri. Nel periodo tra le due guerre scrisse una serie di articoli e monografie sulla storia della comunità ebraica in Polonia. Fu conosciuto come storico e specialista nel campo della storia degli ebrei polacchi dal tardo Medioevo al Settecento. Ha insegnato per molti anni a Varsavia nelle scuole secondarie per la gioventù ebraica.
È stato il fondatore de facto della sezione storica dell' YIVO (Institute for Jewish research) fondato nel 1925 a Vilnius, in Lituania.
Nel 1939 allo scoppio della guerra, la maggior parte dell'élite politica e culturale ebraica scappò verso Est; Emmanuel decise di rimanere comprendendo il ruolo di organizzatore che da intellettuale avrebbe potuto svolgere. Egli era del parere che i conflitti e i pregiudizi sono dovuti principalmente all' ignoranza e credeva che ciò potesse essere ovviato mediante la diffusione della conoscenza storica. Oltre a tenere un diario organizzò dibattiti pubblici e incoraggiò lo studio come forma di resistenza. Era interessato a cogliere ogni aspetto della vita nel ghetto di Varsavia compreso quello "intellettuale". Agli ebrei del ghetto dopo l'invasione tedesca erano accessibili solo un bollettino ufficiale controllato dai Tedeschi, la Gazeta Zydowska, e pochi giornaletti clandestini; Ringelblum scrive nel 1942:
«Che cosa si legge?... Ci si chiederà dopo la guerra: ove erano rivolti gli spiriti degli uomini del ghetto di Varsavia, di quegli uomini che sapevano che la morte li attendeva, quella morte che ha già pesato sugli abitanti delle piccole città? Si potrà ben dire che non abbiamo perduto il nostro intelletto; la nostra mente lavora come prima della guerra. Il lettore serio si interessa molto alla letteratura di guerra [...] Si assaporano le pagine che trattano dell'anno 1918 e della disfatta tedesca. Si cercano dei paragoni con i tempi attuali, si cercano prove che la disfatta dell'invincibile esercito tedesco è vicina [...] Molti lettori si appassionano per i tempi di Napoleone. Si va alla ricerca di analogie tra Hitler e Napoleone, sempre a vantaggio di quest'ultimo, perché se ebbe sulla coscienza fiumi di sangue versato su tutti i campi di battaglia d'Europa, seppe pure scuotere il mondo feudale e apportare il nuovo ordine rivoluzionario; Hitler invece lascerà dietro di sé solo decine di migliaia di vittime e un'Europa desolata e in rovina. Si ama leggere la storia di Napoleone, perché si vede qui come la stella di un dittatore invincibile non sia eterna e possa declinare più velocemente che non si immagini.[1]»
Fu anche uno dei membri più attivi della Żydowska Samopomoc Społeczna [ZSS] , un'organizzazione creata per aiutare le persone affamate nel ghetto; questa pratica di resistenza non sembra però bastare:
«L'assistenza sociale non risolve il problema: prolunga l'esistenza ma la fine è inevitabile. Prolunga le sofferenze e non apporta soluzioni, perché non dispone dei mezzi necessari. I clienti delle mense popolari, ridotti alla minestra e al pane secco, muoiono, a poco a poco. Sorge il problema di sapere se non sarebbe stato meglio assistere in primo luogo le persone preziose dal punto di vista sociale, le élite spirituali e così via; ma la situazione è tale che perfino per questi eletti i mezzi di cui disponiamo sono insufficienti, e d'altra parte ci si domanda perché bisognerebbe sacrificare esseri umani che prima della guerra erano operai o artigiani produttivi, e che solo la guerra ed il ghetto hanno trasformato in feccia della popolazione e in candidati alle fosse comuni. Questo è il tragico dilemma: dobbiamo aiutare a cucchiaiate, il che è insufficiente alla sopravvivenza, o dobbiamo aiutare a piene mani un piccolo gruppo di eletti?...»
A fine febbraio del 1943 Ringelblum insieme alla moglie e al figlio Uri lascia il ghetto, andando nella "parte ariana". Durante la pasqua del 1943 Ringelblum venne catturato e internato nel campo di Trawniki dal quale riuscì a fuggire grazie all'aiuto della resistenza polacca. Nel 1944 fu trovato nel suo nascondiglio in prossimità del ghetto e imprigionato dalla Gestapo nella prigione di Pawiak; il 7 marzo dello stesso anno venne fucilato. Fu messa a morte anche la moglie.
A lui è dedicato il Jewish Historical Institute di Varsavia.[3]
L'Archivio Ringelblum
«Un gran numero di tedeschi veniva a visitare il cimitero e l'obitorio, dove si trovavano ammucchiati i cadaveri trovati nella strada o quelli dei disgraziati morti di fame, in attesa di essere inumati nella fossa comune. Discussioni nascevano tra i tedeschi a proposito della questione ebraica. Alcuni esprimevano il loro piacere a vedere le vittime della politica di sterminio hitleriana, ma altri manifestavano la loro indignazione e si appellavano alla "cultura tedesca". Dato il loro effetto indesiderabile, le escursioni sono state vietate.»
L’Archivio Ringelblum è una raccolta di documenti scritti tra il 1939 e il 1943 da alcuni abitanti del ghetto di Varsavia, tra i quali lo stesso Ringelblum, fondatore e animatore del gruppo Oneg Shabbat che si dedicò allo studio della vita nel ghetto durante l'occupazione della Polonia da parte dei nazisti. Il gruppo Oneg Shabbat comprendeva storici, scrittori, rabbini, dattilografi e altro personale "tecnico"; lavorando in squadra questi abitanti del ghetto hanno raccolto materiale di altissimo valore storico che comprende oltre alle cronache, le testimonianze degli abitanti, giornali sotterranei, saggi, diari, carte annonarie, foto, pezzi di carta di caramelle, ed altro materiale.
Nel 1942 l'Archivio fu sotterrato in scatole e contenitori di latta dai membri del gruppo e fu ritrovato nel 1946.
Parte dell'Archivio è attualmente alloggiata presso l'Istituto di storia ebraica (JHI) di Varsavia, fondato nel 1947 e dedicato alla ricerca e alla storia degli ebrei in Polonia.
Noemi Szac-Wajnkranc e Leon Weliczker, I diari del ghetto di Varsavia. Le storie dei coraggiosi che non si piegarono, Res Gestae, 2013, ISBN978-88-6697-032-3.
Samuel Kassow, Chi scriverà la nostra storia? L'archivio ritrovato del ghetto di Varsavia, Segrate, Mondadori, 2009, ISBN978-88-0458-738-5.
Léon Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Torino, Einaudi, 2003.