L'editto di Serdica (o editto di Galerio) fu emesso il 30 aprile 311 a Serdica (attuale Sofia) dal Primus AugustusGalerio a nome del collegio tetrarchico che reggeva l'Impero romano. Con esso il cristianesimo otteneva implicitamente lo status di religio licita, ovvero culto riconosciuto ed ammesso dall'Impero.[1] Fu il primo editto di tolleranza dei cristiani, avendo preceduto di due anni l'editto di Milano.
il divieto per i cristiani di intentare azioni legali collettive;
la perdita di carica e privilegi per i cristiani di alto rango che si rifiutassero di abiurare;
l'arresto di alcuni funzionari statali.
A quel tempo, Galerio rivestiva la carica di Cesare dell'Impero romano, la seconda autorità più importante dopo quella dell'Imperatore.
Il 1º maggio 305, Diocleziano abdicò; Galerio, suo successore, continuò l'attività di persecuzione in Oriente fino al 311, quando, il 30 aprile, concesse ai cristiani il perdono, la libertà di culto e, implicitamente, lo status di religio licita. Galerio morì cinque giorni dopo.
Testo
Promulgato anche a nome degli altri membri ufficiali del collegio tetrarchico, l'editto segnò la fine delle persecuzioni contro i cristiani.[2]
«Tra tutte le disposizioni che abbiamo preso nell’interesse e per il bene dello Stato, in primo luogo abbiamo voluto restaurare ogni cosa secondo le antiche leggi e le istituzioni romane, e fare in modo che anche i cristiani, che avevano abbandonato la religione degli antenati, ritornassero a sani propositi.
Ma, per varie ragioni, i cristiani erano stati colpiti da una tale ostinazione e da una tale follia che non vollero più seguire le tradizioni degli antichi, istituite forse dai loro stessi antenati[3]. Essi adottarono a loro arbitrio, secondo il proprio intendimento, delle leggi che osservavano strettamente e riunirono folle di persone di ogni genere in vari luoghi.
Perciò quando noi promulgammo un editto con il quale si ingiungeva loro di conformarsi agli usi degli antenati, molti sono stati perseguiti, molti sono stati anche messi a morte. Ciononostante, sebbene la maggior parte di loro persistesse nel proprio convincimento, abbiamo visto che alcuni di essi né tributavano agli dèi la reverenza e il timore loro dovuti, né adoravano il Dio dei cristiani.
Considerando la nostra benevolenza e la consuetudine per la quale siamo soliti accordare il perdono a tutti, abbiamo ritenuto di estendere la nostra clemenza anche al loro caso, e senza ritardo alcuno, affinché vi siano di nuovo dei cristiani e [affinché] si ricostruiscano gli edifici nei quali erano soliti riunirsi, a condizione che essi non si abbandonino ad azioni contrarie all’ordine costituito.
Con altro documento[4] daremo istruzioni ai governatori su ciò che dovranno osservare. Perciò, in conformità con questo nostro perdono, i cristiani dovranno pregare il loro dio per la nostra salute, quella dello Stato, e di loro stessi, in modo che l’integrità dello Stato sia ristabilita dappertutto ed essi possano condurre una vita pacifica nelle loro case.»