Delta unguiculatum

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Delta unguiculatum
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
SottoregnoEumetazoa
RamoBilateria
PhylumArthropoda
SubphylumTracheata
ClasseInsecta
OrdineHymenoptera
FamigliaVespidae
SottofamigliaEumeninae
GenereDelta
SpecieD. unguiculatum
Nomenclatura binomiale
Delta unguiculatum
(Villers, 1789)
Sinonimi
  • Eumenes unguiculata
  • Delta unguiculata[1]

Delta unguiculatum (Villers, 1789) è un imenottero appartenente alla famiglia dei vespidi[2].

Descrizione

Due esemplari in accoppiamentoo

Il torace e la parte anteriore dell'addome sono di colore nero e rosso mattone, mentre il retro dell'addome è prevalentemente giallo; la colorazione è vagamente simile a quella del calabrone (Vespa crabro) o della Vespa orientalis ma la forma è più snella ed è più piccolo, raggiungendo i 2,5 cm[3]; può anche essere scambiato in volo per un Rhynchium oculatum . Il primo segmento addominale, che collega l'addome al torace, è ben distinto, lungo e a forma di campana[1]

L'adulto costruisce un nido di malta fangosa, formato da cellette cilindriche larghe 2 cm ciascuna; all'interno deposita l'uovo e alcuni bruchi catturati e paralizzati dal suo veleno, quindi sigilla il nido[1][3]. Alla schiusa, la larva si nutrirà dei bruchi, prima di bucare il nido e uscirne.

Distribuzione e habitat

Esemplare durante la costruzione del nido

La specie è attestata in gran parte d'Europa (eccetto l'Europa settentrionale), incluse molte isole del Mediterraneo, nonché nel Vicino Oriente[2]. L'adulto è attivo generalmente nei mesi di luglio e agosto, e frequenta ambienti caldi, anche urbani[1]; si nutre prevalentemente su infiorescenze di cipolla, porro, finocchio[3] e aglio; costruisce il nido solitamente sulle pareti e sui sostegni in cemento dei pali elettrici, anche molto in alto[3].

Note

  1. ^ a b c d (EN) Great Potter Wasp - Delta unguiculatum, su Loire Valley Nature. URL consultato l'11 giugno 2017.
  2. ^ a b (EN) Delta unguiculatum (Villers, 1789), su Fauna Europaea. URL consultato il 5 giugno 2017.
  3. ^ a b c d Albouy, pp. 90-91.

Bibliografia

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