Quando la Nigeria è diventata una delle maggiori produttrici di petrolio del mondo, l'area ha visto sorgere molti siti per l'estrazione petrolifera. Sono estratti circa 2 milioni di barili al giorno in tutto il Delta del Niger. Dal 1975, la regione copre il 75% dell'esportazione totale del grezzo della Nigeria. La maggior parte del gas naturale prodotto nelle basi per l'estrazione petrolifera viene bruciato immediatamente o introdotto nell'atmosfera per una quantità stimata in circa 70 mila metri cubi al giorno. Questa quantità equivale al 40% del consumo totale africano di gas naturale e costituisce la più grande emissione di gas serra del pianeta.
La disastrosa situazione ambientale e sociale in cui versa il delta del Niger viene ribadita dalla sentenza della Corte di Giustizia della Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale (Ecowas, dicembre 2012), che evidenzia come le compagnie petrolifere che operano nel paese (Nigerian National Petroleum Company, Shell Petroleum Development Company, ELF Petroleum Nigeria ltd, AGIP Nigeria PLC, Chevron Oil Nigeria PLC, Total Nigeria PLC and Exxon Mobil) siano responsabili, con la copertura del governo nazionale, per i gravi e ripetuti abusi perpetrati e sottolinea l'esigenza per il governo stesso di riportare tali società alle proprie responsabilità[10][11]
Le attività delle raffinerie di petrolio e gli oleodotti hanno provocato una forte destabilizzazione dell'intera regione a causa del devastante impatto ambientale e sociale sulle popolazioni residenti che sono costrette a subire anche gravi problemi sanitari dovuti all'inquinamento.
Nel 1994, per contrastare le proteste dei cittadini, l'esercito procedette con un blitz che portò alla distruzione di 40 villaggi, si stimano 100 000 sfollati e 2 000 vittime.
Nel 1995, al termine di un processo criticato dall'opinione pubblica internazionale, venne frettolosamente impiccato Ken Saro-Wiwa con altri otto attivisti del Movimento non violento del popolo Ogoni.
Recentemente (senza fonte), molti ostaggi di compagnie petrolifere straniere, tra cui la Shell, la Chevron, l'Agip, sono stati catturati nel corso di violenti attacchi e tenuti come prigionieri, usati poi come arma di ricatto verso le multinazionali. Questa situazione ha provocato inoltre una ingente mobilitazione dell'esercito governativo che ha militarizzato l'intera zona, soprattutto le zone costiere.
Nel dicembre del 2006, nel corso di un attacco ad un impianto dell'Agip a Brass, nello stato di Bayelsa, vennero rapiti tre dipendenti italiani ed un libanese. Il 17 gennaio 2007 uno dei rapiti, Roberto Dieghi, venne liberato perché in cattive condizioni di salute.
Negli anni si sono verificati numerosi incidenti provocati da esplosioni a causa delle falle negli oleodotti dove la gente accorre per recuperare il liquido disperso, nel 1998 a Jessi il più grave con 1 200 persone bruciate[12].