Il Delfinio (in greco antico: Δελφίνιον?, Delphínion) era un tribunale dell'antica Atene. Esso si riuniva presso il santuario di Apollo Delfinio[1] e i suoi membri avevano il compito di giudicare riguardo agli "omicidi legittimi".[1][2][3]
Funzione
Il compito del Delfinio era quello di giudicare nel caso dell'"omicidio legittimo" (in greco antico: φόνος δίκαιος?, phónos díkaios) e perciò del tutto scusabile e meritevole di impunità, senza alcuna discriminazione tra volontarietà e involontarietà.[3] Questo tribunale giudicava quindi, come spiega Aristotele,[4] nel caso in cui l'uccisore ammettesse di avere ucciso, ma di averlo fatto secondo le leggi. Secondo Aristotele si rientrava in questa circostanza in caso di uccisione:
- di un adultero (in greco antico: μοιχός?, moichós) quando veniva scoperto con la propria moglie, madre, sorella, figlia o concubina tenuta per avere figli liberi (l'adultero veniva considerato un reo che la legge autorizzava a punire personalmente);[5]
- di un commilitone, per errore, in guerra;
- nel corso di una gara.
A questi casi va aggiunta la legittima difesa se si incontrava un brigante per strada citata da Demostene.[5]
In realtà il Delfinio giudicava quindi alcuni omicidi che altrove sono definiti involontari, il φόνος ἀκούσιος (phónos akóusios) di tradizionale competenza del Palladio, come nel caso dell'uccisione in gara o dell'uccisione di un commilitone che, ad esempio, Platone[6] (diversamente da Aristotele e Demostene) definisce involontario (in greco antico: ἀκούσιος?, akóusios).[7]
Come si è detto, l'omicidio per legittima difesa si fa tradizionalmente ricadere nell'"omicidio legittimo" e doveva perciò essere di competenza del Delfinio a cui spettava il compito di garantire l'impunità dell'imputato o altrimenti escluderla in caso di eccesso di legittima difesa. Tuttavia a tal proposito sono stati sollevati dei dubbi da Michael Gagarin, il quale sostiene che questo tipo di omicidi non sarebbero stati considerati legittimi e che toccasse perciò all'Areopago occuparsene, assolvendo eventualmente l'omicida se si fosse verificato che si era limitato a difendersi.[8]
Da sottolineare è quindi quanto fosse importante che anche l'omicidio legittimo, venisse sottoposto a giudizio per verificarne le vere responsabilità e per stabilire se l'imputato fosse meritevole di impunità. In caso contrario sarebbero potuti restare impuniti omicidi solo apparentemente legittimi, con rischiose conseguenze sul piano politico, per il pericolo di faide, e religioso, dal momento che un omicidio impunito veniva considerato una "macchia" (in greco antico: μίασμα?, míasma) tale da contaminare l'intera città. Al contrario, tuttavia, parte della dottrina ritiene che il Delfinio fosse solamente un tribunale "cerimoniale" che si limitava ad ascoltare i casi in cui sia l'omicida sia i parenti della vittima ammettessero la legittimità del fatto.[9]
Componenti della giuria
Nella dottrina moderna si ritiene comunemente che a giudicare (almeno per certi tratti dell’età compresa tra le riforme di Solone e il corso del
IV secolo a.C.) fossero i 51 efeti, ma tale supposizione si basa solo su fonti tarde e un passo di Aristotele[10] in cui sono state congetturate integrazioni ingiustificate che sosterrebbero la presenza degli efeti, ma il riferimento aristotelico potrebbe anche essere solo a uomini generici estratti a sorte.[11]
È vero che alle linee 33-38 dell'epigrafe che conserva la legge di Dracone sono esplicitamente affidati al giudizio degli efeti i casi di legittima difesa, che in epoca classica rientravano negli omicidi legittimi del Delfinio, ma quest'ultimo al tempo ancora non esisteva e questo tipo di omicidi rientravano nella tipologia dell'"omicidio non premeditato" (in greco antico: φόνος μὴ ἐκ προνοίας?, phónos mḗ ek pronóias) e perciò di competenza degli efeti.[12]
Vi è poi l'ipotesi di Gertrude Smith[13] e successivamente di Robert Wallace[14] secondo cui nel periodo delle riforme di Pericle del 451 a.C., per Smith, o nel periodo tra il 480 e
il 403 a.C., per Wallace, nei tribunali ateniesi per l'omicidio gli efeti sarebbero stati sostituiti dall'Eliea.[15]
È infine possibile che nel Delfinio giudicassero uomini estratti a sorte tra gli eliasti, di numero sconosciuto, forse anche qualche centinaio.[2]
Curiosità
La dottrina tradizionale e prevalente ritiene che il processo oggetto della terza delle Tetralogie di Antifonte sia immaginata avere luogo nel Delfinio: ciascuna tetralogia avrebbe infatti come oggetto un caso esemplare per ognuno dei tre principali tipi di omicidi ("premeditato", "involontario" e "legittimo") giudicati dai tre principali tribunali per le cause di sangue (Areopago, Palladio e Delfinio).[8]
Note
- ^ a b Pintacuda-Venuto, p. 814.
- ^ a b Gagliardi, p. 34.
- ^ a b Pepe, p. 145.
- ^ Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 57, 3.
- ^ a b Pepe, p. 147.
- ^ Platone, Leggi, 831a e 865a.
- ^ Pepe, p. 152.
- ^ a b Pepe, p. 161.
- ^ Pepe, pp. 164-165.
- ^ Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 57, 3-4.
- ^ Gagliardi, pp. 34-38.
- ^ Gagliardi, p. 44.
- ^ Gertrude Smith, Dicasts, pp. 353 ss.
- ^ Robert Wallace, The Areopagos Council, pp. 102 ss.
- ^ Gagliardi, p. 26.
Bibliografia
- Lorenzo Gagliardi, Ruolo e competenze degli efeti da Draconte all'età degli oratori, in Dike -Rivista di Storia del Diritto Greco ed Ellenistico, Milano, 2013, pp. 33-72. URL consultato il 10 agosto 2018.
- Laura Pepe, Osservazioni su phonos akousios e phonos dikaios nell'Atene del V e IV secolo a.C., in Dike - Rivista di Storia del Diritto Greco ed Ellenistico, vol. 11, 2008, pp. 140-165. URL consultato il 10 agosto 2018.
- Mario Pintacuda e Michela Venuto, Grecità. Storia della letteratura greca con antologia, classici e percorsi tematici, vol. 2, Palumbo Editore, 2014, ISBN 978-88-6889-093-3.