Quando nel 1939 la Germania nazista invase la Polonia Siedzikówna era solo una bambina. Il padre era stato inviato come riservista delle forze armate polacche nella zona orientale del paese, ma poi era stato catturato dall'armata rossa che lo inviò in Iran, paese nel quale morì. La madre, che collaborava con la resistenza polacca venne uccisa nel 1943 dalla Gestapo. Siedzikówna si rifugiò con le sorelle a Białystok, dove aiutò la resistenza e divenne un'infermiera.
Quando l'armata rossa cacciò l'esercito nazista il nuovo governo comunista cominciò a perseguitare l'Armia Krajowa ("esercito nazionale"), poiché durante la guerra si era rifiutato di sottostare all'URSS. Siedzikówna venne arrestata nel giugno 1945, per poi essere liberata nel settembre dello stesso anno da alcuni veterani dell'Armia Krajowa. Successivamente collaborò con i "soldati maledetti", membri della resistenza che si opponevano all'occupazione sovietica. Durante questo periodo assunse lo pseudonimo di "Inka". Dopo mesi di battaglia Siedzikówna venne inviata a Danzica per ottenere delle medicine, ma venne scoperta e arrestata nel giugno 1946. Dopo un processo sommario venne condannata a morte con l'accusa di partecipare attivamente in combattimento contro i soldati dell'armata rossa, anche se era evidente che si trattava di una semplice infermiera e aveva appena 17 anni (cosa che avrebbe dovuto salvarla dalla pena capitale). Nonostante le torture subite in carcere non confessò nessun nome dei soldati della resistenza, perciò venne confermata la condanna a morte, eseguita nel carcere militare di Danzica il 28 agosto 1946.