«La Bellezza è l'unica cosa contro cui la forza del tempo sia vana. Le filosofie si disgregano come la sabbia, le credenze si succedono l'una sull'altra, ma ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, ed un possesso per tutta l'eternità.[1]»
«Un tempo ti mettevano alla ruota adesso ti mettono sulla rotativa.[2]»
In molti si sono espressi su Oscar Wilde e sul suo modo di scrivere.[3] L'"artista martire" come lo definì Hugues Rebell;[4] tale termine, rafforzato aggiungendo alla definizione di martire anche quelle di eroe e di mentore, in un paragrafo che non a caso si chiama “il culto di Oscar”,[5] vuol mettere in luce la semplicità del linguaggio e la facilità di comprensione delle sue opere anche fuori dal suo paese d'origine, come sottolinea Jorge Luis Borges.[6] Nei suoi scritti il critico Karl Beckson notò che qualunque fosse l'argomento trattato si intravedeva, a riprova della sua capacità di presagire i tempi, il postmodernismo,[7] ma la sua abilità più che con la poesia veniva espressa con la prosa, grazie alle sue frasi espressive e all'immaginazione che nasceva dalle sue parole, come ebbe ad affermare Osbert Burdett nel 1925.[8]Mario Praz lo paragona più volte a Byron, ammettendo che entrambi davano una grande importanza all'arte che, nelle loro mani, diventava vita, notando che anche le loro opere meno riuscite avevano di fatto un identico impatto, superiore a quello che si poteva pensare, grazie alle loro personalità.[9] Wilde, massimo esponente dell'estetismo, avendo poco da offrire per contrastare la superiorità di Byron, poteva mettere sul piatto solo la sua capacità di conversare in maniera brillante, riuscendo a strappare sorrisi.[10]
Arthur Nethercot parlava della coesistenza di un Wilde e di un anti-Wilde; nella sua esposizione si ritrova a parlare anche del dandy, colui che voleva farsi conoscere ad ogni costo, colui che proclamava l'estetismo che si frapponeva all'altra parte conosciuta da pochi: una persona normale, sentimentale e penitente.[11] Tale paradosso è stato evidenziato da molti autori, definendolo come il peccatore che è anche santo, il pagliaccio che ha visto la tragedia della realtà.[12] Del resto lui stesso ammetteva che concetti come il pianto di gioia erano per lui l'effetto drammatico della natura, cosa che amava esternare nelle sue opere.[13] In profondita, come notano alcuni autori, Wilde aveva due strade che percorse entrambe: la via del cinismo che si evolse nell'ironia, che ritroviamo nel suo teatro e nelle commedie, e lo spirito idealistico che si ritrova nei dialoghi immaginari creati da lui, come si ritrova nei suoi romanzi e nella prosa, quella stessa prosa che seduce lo spettatore.[14]
A William Butler Yeats, che lo conosceva bene, sembrava un autore incompiuto, definendolo come il "quasi vincitore del Graal",[15] mentre Walter Pater diceva che leggendo i suoi scritti si pensa più ad un ottimo parlatore che ad altro.[16] Secondo Renaud gli artifizi non gli si addicevano, Wilde otteneva i suoi risultati migliori con la naturalezza.[17]
I revisori hanno immediatamente valutato negativamente la decadenza del romanzo e le allusioni omosessuali; Il Daily Chronicle, ad esempio, lo definiva "impuro", "velenoso" e "pregno di odori mefitici di putrefazione morale e spirituale".[18] Wilde rispose vigorosamente, scrivendo al direttore dello Scots Observer, in cui ha chiarito la sua posizione sull'etica e l'estetica nell'arte: "Se un'opera d'arte è ricca, vitale e completa, coloro che hanno istinti artistici vedranno la sua bellezza e quelli a chi l'etica fa appello più forte vedrà la sua lezione morale ".[19][20] Tuttavia modificò pesantemente il romanzo per la pubblicazione del libro nel 1891: furono aggiunti sei nuovi capitoli, alcuni passaggi apertamente decadenti, l'erotismo erotico e, fu inclusa, una prefazione composta da ventidue epigrammi su come "I libri sono ben scritti o scritti male. Questo è tutto."[21][22]
Revisori contemporanei e critici moderni hanno postulato numerose possibili fonti della storia, una ricerca che Jershua McCormack sostiene è inutile perché Wilde "ha sfruttato una radice del folclore occidentale così profonda e onnipresente che la storia è sfuggita alle sue origini ed è tornata alla tradizione orale".[23] Wilde sosteneva che la trama era "un'idea antica quanto la storia della letteratura, ma, a cui ho dato una nuova forma".[24] Il critico moderno Robin McKie considerava il romanzo tecnicamente mediocre, affermando che la trama gli aveva garantito la sua fama, ma la struttura non è mai stata notevole.[25]
Note
^Aforismi, a cura di Alex R. Falzon, Mondadori, 2000.
^Ellmann Richard (a cura di), The Artist as Critic: Critical Writings of Oscar Wilde, London, W. H Allen, 1970, p. 276
^Ad esempio Giulio Andreotti. Vedi: Prefazione a Oscar Wilde Scelti e tradotti da Alex R. Falzon edizione speciale uscita con Epoca n.1973 del 25-7-1988 Mondadori
^ Hugues Rebell, Defense d'Oscar Wilde num° XV pp. 182-190, Paris, 1895.
^ Jorge Luis Borges, Sopra Oscar Wilde in altre inquisizioni, Milano, Feltrinelli, 1973, p. 85. Traduzione di Francesco Tentori Montalto
^ Oscar Wilde, Russell Jackson, Bobby Fong, Ian Small, Karl Beckson, Joseph Bristow, The Complete Works of Oscar Wilde: Poems and Poems in Prose, Oxford, Oxford University Press, 1925, p. X, ISBN978-0-19-811960-9.
^Il Graal, ovvero il mitico calice che tutti cercavano e che donava a seconda delle leggende immortalità o sovranità. Il paragone lo espose in un'intervista a Sybil Bristowe, Mr. W. B. Yeats, Poet and Mystic apparsa il 4 aprile 1913 sul "Daily Mail and Record"
^ Walter Pater, A Novel by Mr. Oscar Wilde, Bookman, 1891.
^ J J Renaud, Nella prefazione alla traduzione di Intentions, Paris, 1905, pp. VII-XII.