Nel corso del Seicento, l'antico maniero subì numerose trasformazioni, tali da renderlo più un palazzo che un castello. Sede dei Principi di Gangi, venne abitato dai Graffeo e saltuariamente dai Valguarnera in periodo estivo, sino a metà Settecento.
Successivamente l'edificio rimase in stato di abbandono e venne utilizzato come carcere e poi come scuola, finché non venne acquistato dalla famiglia Milletarì, che tuttora lo utilizza come abitazione privata: parte dell'antico castello è anche proprietà della famiglia Ventimiglia di Monteforte, discendenti dall'antico casato madonita.
L'edificio, sito nell'alto di una cresta che da più di 1000 m di quota sovrasta l'abitato e domina le due valli del torrente Rainò.
Il castello, o meglio, l'ala che ne rimane presenta fondamentalmente invariato il suo impianto trecentesco, ma la stessa cosa non può dirsi della facciata che, volta a sud-ovest sulla piazza Valguarnera, si eleva con due piani. L'ampio fronte contenuto fra due torri, apparentemente di epoche differenti, è scandito da due ordini di aperture, con robusto portale bugnato a piano terra, a sua volta sormontato dall'unico balcone del prospetto):
l'impianto della facciata, così come lo scalone interno che conduce ai piani
superiori, furono opera della famiglia Graffeo a metà del Seicento.
Dalla parte opposta, coerentemente alle sue funzioni difensive, si affaccia sullo strapiombo settentrionale del monte Marone[1].
Note
^Sul castello di Gangi si rimanda a S. Farinella, I Ventimiglia. Castelli e dimore di Sicilia, Editori del Sole, Caltanissetta 2007, ad vocem; S. Farinella, Insediamento territoriale e sistemadifensivo nei conti di Ventimiglia signori del Maro e nei conti di Geraci,
in G. Antista (a cura), Alla corte dei
Ventimiglia. Storia e committenza artistica, Atti del Convegno, Palermo
2010.