Ha iniziato la carriera cestistica alla Zionsville Community High School, proseguendo poi per quattro stagioni alla DePauw University[3] giocando da playmaker[4].
Dopo la laurea in Economia, nel 1999 decise di abbandonare il basket giocato, venendo assunto come responsabile marketing della Eli Lilly and Company di Indianapolis. Non rimase però lontano a lungo dal mondo del basket: spinto infatti dalla passione per il ruolo di allenatore, nell'estate del 2000 si propose alla Butler University come volontario nel supporto all'attività cestistica. Venne assunto, e nella stagione 2000-2001 ricoprì l'incarico amministrativo di coordinatore delle squadre di basket dell'ateneo[5].
Nel 2001 fu nominato assistente di Todd Lickliter e ricoprì l'incarico fino al 2007, anno in cui venne nominato capo allenatore dopo il trasferimento dello stesso Lickliter ad Iowa. In 6 stagioni alla guida dei Bulldogs ha collezionato 166 vittorie e 49 sconfitte, raggiungendo la finale per il titolo NCAA nel 2010 e nel 2011 (perdendo rispettivamente da Duke University e University of Connecticut).
Arriva su una delle panchine più prestigiose della lega al termine del lungo e controverso regno di Doc Rivers, in carica dal 2004, conquistatore di un anello e artefice di un'altra finale persa solo a gara 7 contro i Lakers di Kobe Bryant. Agli inizi e alla fine della sua parabola in biancoverde Rivers ha però ottenuto risultati meno brillanti, e a Stevens viene chiesto di aprire un nuovo ciclo. In quest'ottica vengono ceduti ai Brooklyn Nets i cosiddetti Big Three, i tre giocatori più talentuosi in rosa, Kevin Garnett, Paul Pierce e Jason Terry, in cambio di una serie di scelte e giocatori futuribili.[6] Sarà inoltre assente per tutto l'anno l'ultima stella rimasta in rosa, il fortissimo playmaker Rajon Rondo, infortunatosi gravemente a metà dell'anno precedente.[7]
Il primo anno di Stevens è mirato esclusivamente a crescere e si risolve con un disastroso ma prevedibile score di 25-57. Per la prima volta dal 2007, proprio quando erano stati formati i Big Three, i Celtics non si qualificano ai Play off. Da quel momento tuttavia, sino a tutto il 2021, non mancheranno più l'appuntamento con la Post Season.
2014-15
Al secondo anno a Boston si comincia a vedere la mano del giovanissimo allenatore, in seguito spesso definito come una sorta di baby prodigio del coaching. I suoi principi si basano più sullo sviluppo del gioco di squadra che sullo sfruttamento delle potenzialità dei singoli, il lavoro assiduo soprattutto in difesa, le manovre ragionate e il cinico utilizzo dei dati per individuare i punti deboli delle squadre avversarie.
La squadra si fa più ambiziosa anche se si continuano a poggiare le basi del nuovo ciclo, Rondo infatti ristabilitosi da poco viene scambiato ai Dallas Mavericks in cambio di ulteriori giocatori e scelte future.
Nonostante uno score mediocre di 40-42, i Celtics si piazzano settimi nella Eastern Conference. C'è però da evidenziare la loro grande rincorsa primaverile: ad aprile Stevens viene nominato Coach del mese[8], a causa di 6 vittorie contro una sola sconfitta, 5 delle quali contro avversarie dirette per i playoff. Qualificatosi con questo balzo leonino, vengono però spazzati via (4-0) dai Cleveland Cavaliers di LeBron James.
2015-18 e le due finali di conference contro Lebron James
Il 2015-16 è l'anno della definitiva affermazione per il giovane tecnico, che chiude con un bello score di 48-34, e il quinto posto in Eastern. Ai playoff però arriva un'altra eliminazione al primo turno, contro gli Atlanta Hawks per 4-2.
La regular season del 2016-17 è un trionfo: per la prima volta dal 2008, quando vinsero l'anello, con un score di 53-29, i Celtics sono i primi a Est. La compagine mostra affiatamento anche ai playoff, dove raggiunge la finale di Conference. Ad attenderli però ci sono i Cleveland Cavaliers, ancora capeggiati dal fenomenale Lebron. Per molti è una sfida tra un gioco di squadra solido e perfettamente organizzato, ovvero il basket dei Celtics, e una combinazione d'individualità fortissime manovrate da un giocatore eccezionale, ovvero "King" Lebron e i suoi "scudieri" Kyrie Irving e Kevin Love. I Cavaliers s'impongono per 4-1. Per la loro vittoria è decisiva la letale intesa tra James e Irving.
Poco dopo la vittoria del titolo dei Cavs, questi vengono forzati proprio da Irving a uno scambio decisivo per le sorti delle rispettive franchigie; egli cerca infatti di staccarsi da Lebron e assurgere a stella dominante di un roster. Isaiah Thomas, ottimo playmaker cresciuto moltissimo con Stevens, viene quindi mandato in Ohio, mentre approda in Massachusetts Irving.
L'idea di Stevens è di strutturare la squadra attorno all'intesa tra il nuovo acquisto e un altro innesto, il suo protegè, e uomo decisivo ai tempi universitari dei Butler Bulldogs, Gordon Hayward.
Il piano sembra andare a monte a causa di un terribile e scioccante infortunio di Hayward nella prima partita di Regular[9]; in seguito anche Irving va incontro a un grave infortunio al ginocchio.
Qui però emerge tutta l'abilità di Stevens che senza i suoi due assi riesce a condurre la squadra prima a un eccellente 55-27 che vale il secondo posto a Est, quindi nuovamente alle finali di Conference. In finale ci sono ancora James e i suoi Cavaliers, privi pure di Kevin Love.
La serie prosegue sino a gara 7 e si contraddistingue per una successione di prestazioni superlative di Lebron James, considerate tali proprio per il valore riconosciuto con giudizio unanime all'organizzazione di gioco imbastita da Stevens. Nel corso dei 7 match infatti The Chosen One registra una media di 33.6 punti, 9 rimbalzi, e 8.4 assist, con un roster, eccetto lui e Love acciaccato, giudicato tra i più deboli dell'intera lega. Per Stevens però è un successo personale averlo costretto a tali cimenti.[10]
Ancora nell'élite, semifinali 2018-19 e finali di conference 2019-20
Col trasferimento di Lebron James ai Lakers, i Celtics sono i candidati naturali a dominare la conference. Nonostante appaiano meno convincenti e performanti delle annate precedenti, in cui suscitarono tanto plauso e ammirazione, e gli infortuni che continuano ad attanagliare Hayward e Irving[11], mettono a segno un ottimo score stagionale di 49-33.
La squadra però a sorpresa crolla nelle semifinali dei playoff coi Milwaukee Bucks per 4-1, mettendo in luce le contraddizioni della stagione.[12] Per Stevens è il primo vero, seppure parziale, intoppo nella sua folgorante carriera in NBA. Il fatto che sia comunque riuscito ad approdare a risultati che per altri sarebbero stati eccellenti dà la misura del credito e prestigio conquistati, ma anche delle aspettative a cui ormai deve rispondere.
Il 2019-20 è un anno di ripresa dal mezzo passo falso della stagione precedente. La Regular, interrotta a metà a causa dello scoppio della pandemia di COVID-19, viene conclusa assieme ai playoff nella Bolla di Orlando, ovvero le strutture Disneyland in cui i giocatori ancora coinvolti nelle ultime partite di regular e nella postseason sono dovuti rimanere per disputare i match, il più possibile distanziati fisicamente dal resto del mondo. I Celtics portano a casa un altro ottimo score, 48-24, e nei playoff si elevano tra le squadre più in forma.
Questi particolari playoff potrebbero aver premiato le squadre più rodate a giocare di squadra e a reggere la pressione, e infatti Boston arriva in finale di Conference contro i Miami Heat, un altro roster che antepone la forza della cooperazione al talento dei singoli e gestita da Erik Spoelstra. Nemmeno questa volta i Celtics riescono a superare lo scoglio e ad approdare alla finalissima, dove avrebbero nuovamente dovuto affrontare Lebron James. Vengono infatti sconfitti per 4-2 dagli Heat.