Il 19 settembre 1953 fu ordinato presbitero per la Società salesiana di San Giovanni Bosco. In un'occasione monsignor Rivera raccontò a un giornalista di essere entrato nella congregazione salesiana "perché voleva lavorare con i poveri, e poi sono stati i salesiani a fare la maggior parte".[1]
Alla luce del fermento di idee sociali alla diffusesi dopo la conferenza generale degli episcopati latinoamericani di Medellín del 1968, alla quale monsignor Rivera partecipò come delegato dei vescovi salvadoregni, negli anni '70 nuove idee pastorali si diffusero in tutta l'arcidiocesi. Rivera sostenne l'opera pastorale intrapresa da padre Rutilio Grande nelle aree rurali dell'arcidiocesi, oltre a sostenere le innovazioni pastorali e teologiche che venivano portate avanti dai gesuiti. Tuttavia, la gerarchia della Chiesa apparentemente disapprovava la sua azione perché, quando l'arcivescovo Chávez y González nel 1977 si ritirò per raggiunti limiti di età, scelse come suo successore monsignor Óscar Romero, fino a quel momento vescovo di Santiago de María, percepito come più conservatore, con sgomento dei liberali e trascurando Rivera. A quel tempo, egli era stato etichettato come un "vescovo rosso" a causa del suo attivismo.[1]
Il ministero episcopale di Rivera coincise con un periodo delicato. Il prelato subì numerose minacce alla sua vita per aver mantenuto una chiara linea di denuncia delle ingiustizie e dei crimini di guerra, in termini enfatici. Nel 1983, organizzò un ricevimento per papa Giovanni Paolo II durante la sua prima visita in El Salvador. Nel 1984, monsignor Rivera e il suo vescovo ausiliare, monsignor Gregorio Rosa Chávez, parteciparono come mediatori agli incontri di dialogo a La Palma e Ayagualo, tra il governo e le forze ribelli dell'Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (FMLN), promuovendo con forza l'opzione di una soluzione negoziata come unica via d'uscita dalla guerra civile salvadoregna. Nel 1985 partecipò nuovamente come mediatore insieme a Ignacio Ellacuría, rettore dell'Università centroamericana "José Simeón Cañas" (UCA), nelle trattative per ottenere la liberazione di Inés Guadalupe Duarte, figlia del Presidente della Repubblica, José Napoleón Duarte, rapita dall'FMLN. Nel 1987 l'arcivescovo promosse un nuovo incontro di dialogo tra il governo e i guerriglieri nella nunziatura apostolica di San Salvador.[5] Nel 1989 Rivera dovette affrontare una grave crisi nell'arcidiocesi quando sei sacerdoti gesuiti furono assassinati nelle strutture dell'UCA da una squadra delle Forze armate di El Salvador (FAES). In questo massacro morì il gesuita Ignacio Ellacuría, suo amico e consigliere.[6] Secondo quanto riferito, Rivera disse ad Alfredo Cristiani, presidente di El Salvador, di inviare soldati fuori dai suoi uffici. "Non fraintendetemi", disse Rivera al presidente "Non è che mi fidi dei soldati. Ma se vengo ucciso, voglio che sia chiaro chi è stato".[7]
Monsignor Rivera Damas venne minacciato da estremisti di destra, tra cui la Brigata Anti-Comunista Maximiliano Hernández, uno squadrone della morte.[8] Il presule chiese inoltre all'amministrazione Reagan di porre fine alla sua ingerenza in America Centrale e di non aggravare ulteriormente i conflitti in El Salvador e nei paesi vicini.[9]
Le pressioni della comunità internazionale e della Chiesa cattolica all'inizio degli anni '90 costrinsero il governo e l'FMLN ad avviare il processo negoziale che portò alla fine della guerra e alla firma degli accordi di pace di Chapultepec del 1992. Benché monsignor Rivera non abbia partecipato direttamente in qualità di mediatore alla trattativa finale, collaborò come osservatore all'attuazione degli accordi.[10] Negli ultimi anni del suo ministero promosse con forza il processo di canonizzazione del suo predecessore Óscar Romero, che considerava un martire per la Chiesa.[11] Infatti, dal 1983 fino all'accordo di pace del 1992, il vescovo Rivera, insieme al vescovo tedesco di Santo Domingo de los ColoradosEmil Stehle fu attivamente coinvolto nella mediazione con l'organizzazione guerrigliera FMLN per porre fine alla guerra civile. Per questo fu candidato per il Premio Nobel per la pace del 1994 insieme al vescovo Stehle.[12]
Morì a San Salvador il 26 novembre 1994 all'età di 71 anni a causa di un infarto. È sepolto nella cattedrale metropolitana del Divino Salvatore del Mondo a San Salvador, accanto alla tomba di monsignor Romero. Nel 1996, durante la sua seconda visita in El Salvador, papa Giovanni Paolo II disse che Rivera "entrò nell'eternità dopo aver visto spuntare all'orizzonte la pace per la quale, accanto agli altri Vescovi del Salvador, aveva lavorato instancabilmente".[13]
Nel 2004 venne inaugurata a San Salvador una piazza chiamata "Monseñor Arturo Rivera y Damas, Artesano de la Paz".[14]
^(LA) Acta Apostolicae Sedis (PDF), III, III, n. 1, Tipografia poliglotta vaticana, 1961, p. 77. URL consultato l'8 luglio 2022.
^(LA) Acta Apostolicae Sedis (PDF), LXIX, Tipografia poliglotta vaticana, 1977, p. 681. URL consultato l'8 luglio 2022.
^(LA) Acta Apostolicae Sedis (PDF), LXXV, Tipografia poliglotta vaticana, 1983, pp. 335-336. URL consultato l'8 luglio 2022.
^(ES) Ana Elizabeth Villalta, El proceso de paz en El Salvador, su portalfio.org. URL consultato l'8 luglio 2022 (archiviato dall'url originale il 21 aprile 2007).
^(ES) Obituario, in El Mundo. URL consultato l'8 luglio 2022.
La collaborazione e l'amicizia tra monsignor Óscar Romero e monsignor Arturo Rivera è ampiamente documentata in: (ES) James R. Brockman, La palabra queda. Vida de Monseñor Oscar A. Romero, collana Colección Teología latinoamericana (San Salvador, El Salvador), San Salvador, UCA Editores, 2015, pp. 367, ISBN9789992359983. URL consultato l'8 luglio 2022.