Il duca Alessandro I dei Medici nel 1534 decise di riformarne gli statuti, riducendole a semplici associazioni di mestiere, senza più alcuna rilevanza sul piano politico. L'"Università dei Maestri di Cuoiame" riunì gli appartenenti alle Arti dei Calzolai, Galigai e Correggiai. Era governata da sei consoli ed ebbe per protettrice la santissima Trinità; l'insegna adottata fu lo stemma bianco e nero già usato dai Cuoiai; nel 1561 venne annessa anche l'Arte Maggiore dei Vaiai e Pellicciai, per cui l'università assunse la denominazione di "Università dei Vaiai e Cuoiai"; la prima sede venne stabilita in via Lambertesca e nel 1562 fu spostata in via delle Terme.
Nel 1770 Pietro Leopoldo soppresse tutte le Arti istituendo la Camera di Commercio.
Organizzazione interna
Cuoiai e galigai erano pressoché lo stesso mestiere, con la differenza che i secondi erano più orientati alla produzione di suole per calzature (dal latino caliga). Si trattava di lavori maleodoranti, che a metà del Trecento erano concentrati attorno a San Pier Scheraggio (lo Scheraggio era proprio una gora dove scorrevano le acque putride delle concerie) e Santa Trinita (dove esisteva la piazza de' Cuoiai). Con la costruzione degli Uffizi e la bonifica di queste zone, tali lavorazioni sgradevoli vennero concentrate nella zona più periferica di via delle Conce e via dei Conciatori, dove fino agli anni cinquanta del Novecento esistevano ancora laboratori del cuoio e canaletti di scolo che riversavano in Arno.
La concia delle pelli avveniva per diversi passaggi, e si divideva essenzialmente in due processi: quello delle pelli crude, ovvero quelle fresche appena macellate dai beccai, e quello delle pelli secche, per lo più importate e appartenenti ad animali morti da tempo e conservate sotto sale, come avveniva per le pellicce.
Nel primo caso i primi lavoratori che toccavano per primi le pelli erano i pelacani, che tagliavano via tutti gli scarti quali coda, labbra, orecchie, zona genitale e perianale, e gli eventuali residui di carne, destinando queste frattaglie ora all'alimentazione ora alla produzione di sapone e colla. Le pelli venivano poi gettate nel calcinaio per qualche giorno, in vasche cioè piene d'acqua mista a calcina, poi raschiate immerse nella concia, dove stavano in ammollo fino a otto mesi in un bagno di acqua, orina fermentata e canizza (sterco di cane). Alle pelli di pecora e capra veniva aggiunto il sommacco, pianta ricca di tannino; alle altre il "rammorto", misto di polvere di sughero e di cerro. Le carni "secche" andavano direttamente al concio.
Si parlava di conciatura grossa o fine a seconda della taglia della bestia.
Patronati
La corporazione scelse come proprio protettore sant'Agostino di Ippona, che veniva festeggiato il 28 agosto, mentre i conciatori ebbero come patrono san Filippo. L'arte non possedeva una nicchia esterna in Orsanmichele, ma partecipò alla decorazione dei pilastri interni con affreschi riferibili a Niccolò Gerini.
Bibliografia
Luciano Artusi, Le arti e i mestieri di Firenze, Roma, Newton & Compton, 2005, ISBN88-541-0517-1.
Marco Giuliani, Le Arti Fiorentine, Firenze, Scramasax, 2006.