«Lo abbiamo sepolto, al raggio velato del sole di giugno, lo abbiamo sepolto tra i fiori e il verde e i profumi della superba vegetazione del suo Polesine, presso la casa degli avi suoi, nel suo giardino.Ora non ho più ritrovi da dargli; ora non mi resta che raggiungerlo nel riposo senza fine.»
(Dall'epitaffio per Alberto Mario scritto da Giosuè Carducci il 5 giugno 1883)
Alberto Mario (Lendinara, 4 giugno 1825 – Lendinara, 2 giugno 1883) è stato un patriota, politico e giornalista italiano.
Erede di una nobile famiglia di origini ferraresi, nacque il 4 giugno 1825 a Lendinara (RO), in un grande edificio seicentesco nell'attuale via Cavour, ove oggi una targa lo ricorda. Visse una giovinezza gaia e spensierata[1]. Frequentò le locali scuole dei Padri Cavanis dell'Ordine degli Scolopi e poi il seminario di Rovigo, ma lo studio gli era allora assai indigesto.[2] Nel 1844 si iscrisse all'Università di Padova. Scelse prima matematica, poi legge, ma l'unica cosa che gli interessava era la Storia[3]. L'8 febbraio 1848 partecipa attivamente alle manifestazioni, tanto da essere costretto a riparare a Bologna, dove si unisce agli studenti volontari aggregati alle truppe di Pio IX.
Combatte contro gli austriaci a Bassano del Grappa, Treviso e Vicenza. Dopo il fallimento della campagna, ripara a Milano dove conosce Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini.
Negli anni che vanno dal 1849 al 1857, Mario soggiornò a lungo a Genova insieme agli altri patrioti in esilio. Dopo aver passato alcuni mesi nel carcere di Sant'Andrea a Genova per il fallimento dei progetti rivoluzionari, Mario si trasferì a Londra dove nel 1858 sposò Jessie White, giornalista corrispondente del London Daily News.[4] Con la moglie intraprese una serie di viaggi che lo portarono anche negli Stati Uniti dove perorò la causa risorgimentale.
Tornato in Italia, dopo aver passato qualche giorno in prigione, fu espulso dal Regno di Sardegna e riparò a Lugano, dove si trovavano Mazzini e Carlo Cattaneo. Lì Mario assunse la direzione dell'organo mazziniano Pensiero ed azione. Mario, con la moglie, riuscì ad imbarcarsi per la Sicilia per raggiungere Garibaldi con la seconda spedizione capitanata da Medici.
Convinto federalista, Mario teorizzava la necessità di abbattere le "satrapie burocratiche" del centralismo italiano, allo scopo di realizzare una legislazione articolata, adatta a garantire l'autogoverno di istituzioni decentrate come regioni e comuni.[5]
Passato in Calabria, ebbe il compito di reprimere le rivolte dei contadini fedeli ai Borboni. Nel 1862, Mario scrisse La camicia rossa, memoriale sulla spedizione dei Mille pubblicato in lingua inglese. Partecipò alla campagna del 1866 al comando di alcune unità di flottiglia sul Lago di Garda.
Nel gennaio del 1863 fu eletto alla Camera dei deputati del Regno d'Italia nel collegio di Modica, ma tramite una lettera di dimise l'11 marzo. Nella lettera dichiarava che "essendo egli di fede repubblicana non accettava la deputazione"[6].
Nel 1867 fu con Garibaldi a Monterotondo e a Mentana.
Compiutasi l'unità d'Italia, si dedicò a tempo pieno al giornalismo: diresse La Provincia di Mantova (1872-1874), la Rivista Repubblicana (1878-1879), la Lega della Democrazia (1880-1883) sempre su posizione federaliste, seguace di quel Cattaneo che aveva celebrato nel 1870, a un anno dalla morte, con un libro dal titolo significativo, La mente di Carlo Cattaneo.
Dal 1862 al 1866 risiedette collina di Bellosguardo a Firenze. Dopo l'annessione del Veneto, si ristabilì nella natia Lendinara insieme alla moglie Jessie, impegnandosi per alcuni anni nella vita culturale e nella lotta politica locale come consigliere provinciale di opposizione.[7]
Morì a Lendinara il 2 giugno 1883.
Sulla sua tomba, ora nel cimitero di Lendinara, la vedova Jessie White volle fosse riportato il seguente brano dell'orazione funebre che Giosuè Carducci tenne di fronte alla salma:
«Da Giuseppe Mazzini la tenace unità dei propositi Da Carlo Cattaneo la feconda varietà degli svolgimenti Da Giuseppe Garibaldi l'ardenza pratica dell'azione Dalla storia d'Italia la tradizione del governo a popolo Da se stesso ebbe la serena intelligenza della vita dedicata a un ideale superiore nella dignità del dovere e del sacrificio Da quando la rivoluzione italiana abbracciatolo giovinetto oppugnatore di tirannia lo gittò per diversi esigli a oggi che la morte lo congeda dal combattimento di tutti i giorni sulla terra propugnatore di libertà non mai sostò né esitò non mai si volse indietro o inchinò egli guardava in alto al passato e all'avvenire Atene senza servi Venezia senza dieci Firenze senza frati erano per Alberto Mario la patria ideale Tutta la libertà con tutta la civiltà la sua repubblica Egli passa all'avvenire come il più naturalmente repubblicano degli italiani come il più artisticamente italiano dei repubblicani»
(Giosuè Carducci[8])
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