Durante la sua carriera, Jakšić rivolse le sue attenzioni soprattutto a due attività: la pittura e la letteratura.[1]
Da giovane si avvicinò all'arte ed abbandonò gli studi commerciali per frequentare dapprima corsi di pittura in Ungheria ed in Romania, e successivamente per dedicarsi come professionista a questa arte, diventando uno dei più importanti rappresentanti del periodo pittorico romantico.[1]
Nel 1848 si iscrisse all' Accademia delle Arti a Budapest e si perfezionò a Belgrado, a Vienna ed a Monaco di Baviera dove, per un breve periodo, alternò il mestiere di insegnante di disegno alla vita da bohemien ed all'attività pittorica.[2]
I prodotti della sua maestria artistica si trovano presso i luoghi di culto o in collezioni private.[1]
Come letterato, Jakšić scrisse prevalentemente poesie (circa centocinquanta), racconti (quaranta) e drammi (tre).
Le sue liriche si caratterizzarono per i contenuti tendenti al pessimismo, a tematiche sociali e patriottiche, all'esaltazione della libertà politica e della ribellione alle tradizioni, alla descrizione della natura.[3]
Il pessimismo di Jakšić fu motivato sia dalle sue condizioni sociali e relazionali problematiche, sia dallo scarso entusiasmo che provava nei confronti del mondo circostante e della situazione politica serba.[1][4]
I suoi racconti più apprezzati furono Pripovetke (Novelle, 1876), imperniato su tematiche sociali e scritto con stile realistico, Komadič svajcarskog sira (Un pezzetto di formaggio svizzero), Pismo pokojnoj cenzuri... (Una lettera alla defunta censura...) e Ciča Tima (Zio Tima), impreziositi da elementi satirici e umoristici. Tutti i suoi racconti evidenziarono una profonda ed arguta indagine psicologica dell'uomo, della società e dell'evoluzione storica.[7]
(DE) Jakšić Djuro, in Österreichisches Biographisches Lexikon 1815–1950 (ÖBL), III, Vienna, Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, 1965, p. 67.
(SR) Jovan Skerlić, Istorija Nove Srpske Književnosti/History, Belgrado, 1921.